Il dibattito su Ideario 2023 e la cultura alternativa prosegue con l’analisi di Guido Giraudo, uno dei protagonisti più coraggiosi
“E pur si muove…” Da qualche settimana più di un Galileo ha iniziato a ipotizzare la prossima fine del dogma secondo il quale tutto (ma, soprattutto, la cultura) ruoterebbe attorno alla piccola Terra (figlia del marxismo materialista), prendendo atto che esiste un Sole, una Tradizione, una grande cultura millenaria attorno a cui davvero ruota l’antica saggezza di uomini e popoli.
Sia chiaro che, a oggi, l’oscurantismo materialista che, per semplificare, definiamo “di sinistra”, possiede ancora tutte le leve del mercato, dell’informazione e del pregiudizio capaci di imporre la sua egemonia, grazie anche all’abilità con cui, in questo secolo, ha saputo fondere le utopie leniniste con i dogmi capitalisti e le alienazioni digitali realizzando quel grande Moloch chiamato “globalismo” alla cui follia i popoli di tutto il mondo sono chiamati a inchinarsi e fare sacrifici.
E pur qualcosa si muove… dal grande fiume carsico della Tradizione ogni tanto emerge una polla di acqua limpida a cui abbeverare la speranza. Eccoci allora qui, sulle sponde di questa sorgente, a discutere di come fare per renderla vitale, per implementarne la conoscenza, per incanalare le sue acque affinché abbeverino gli uomini assetati e irrighino i campi aridi. Non è la prima volta che ciò avviene, eppure mai come oggi – almeno qui in Italia – potrebbero esserci realmente le condizioni per un cambiamento progressivo ma radicale della cultura dominante.
Mi riaggancio, quindi, all’articolo di Fabio Meloni partendo dalla necessità di “fare rete”, attività che, tuttavia, appare antitetica a un mondo (diciamo “di destra” per intenderci) che è pervaso da personalismi, egoismi, individualismo e dove le “unità militanti” (e litigiose) moltiplicano all’infinito il numero di circoli, associazioni, siti, forum, blog, giornalini e pubblicazioni con il risultato che – a oggi – ci sono, nella cosiddetta “area”, più persone che scrivono di quelle che leggono e più persone che parlano nei dibattiti di quante siano in platea ad ascoltare.
Allora il problema, forse, è quello di “fare sistema”, avere cioè una linea guida, un orizzonte a breve e medio termine da condividere, una serie di obiettivi ben chiari e raggiungibili, attorno a cui aggregare chi è disposto anche a sacrificare parte delle sue pur lodevoli velleità personali al fine di raggiungere uno scopo comune. Ciò vale sia dal lato degli operatori culturali (case editrici, circoli, associazioni, autori), sia dal lato degli interlocutori istituzionali (assessori, sindaci, amministratori di Enti).
L’idea l’aveva avuta già, nel 1996, Marzio Tremaglia, allora assessore alla Cultura della Regione Lombardia, che era anche un atteno assertore delle potenzialità del nascente web. Fu grazie alla sua spinta propulsiva (la linea guida, l’orizzonte di cui parlavo) che nacque – per esempio – il primo (e ancora unico) archivio multimediale on line dell’area, quella Associazione Lorien che, in 25 anni oltre ad aver raccolto, catalogato e salvato tutta la Musica alternativa ha da qualche anno avviato anche un ricchissimo archivio di Canti patriottici.
Però Tremaglia aveva soprattutto proposto al partito di creare un portale (ai tempi decisamente innovativo) in cui far incontrare – appunto – l’offerta di “Cultura non conforme” (questa la definizione originale da lui coniata) di ogni genere (non solo pubblicistica, ma anche teatro, danza, fumetto, pittura… ecc) con la domanda che nasceva in quegli anni dai primi amministratori pubblici eletti nelle file di MSI-Alleanza Nazionale, in buona parte “ignoranti” dell’esistenza di tante credibili opportunità fuori dal mondo dei “soliti noti”.
Chi fermò o, meglio, non prese neppure in considerazione questa proposta lo si scopre facilmente leggendo l’ormai introvabile “Cultura contro disinformazione: vent’anni di battaglie” che sarebbe ancora oggi un Vangelo (e un monito) per chi è chiamato a non commettere più gli errori del passato.
Se si volesse andare ancora più indietro nel tempo bisognerebbe, però, ricordare quel “Convegno delle radio libere” di destra del 1979, quando a Roma s’incontrarono i rappresentanti delle quasi 300 radio di destra allora presenti in Italia con l’idea di creare un network sul modello di Radio Popolare. Idea che fallì miseramente per il disinteresse del partito e, sempre, per quei particolarismi, essendo ogni radio il frutto dell’iniziativa di un deputato, un consigliere o un gruppo che non voleva privarsi del suo piccolo dominio. Risultato: nel giro di pochi anni tutte e 300 le radio sparirono, le frequenze furono vendute e la destra non ebbe mai più una voce.
Sull’idea di “fare rete” e di diffondere la nostra cultura qualche piccola (mica tanto…) esperienza potrei raccontarla. Monza: dicembre 1995. Per iniziativa della locale federazione del MSI-DN organizzammo una iniziativa che prevedeva un concerto degli Amici del vento nel più grande teatro della città ma, soprattutto, una “Mostra mercato del libro alternativo”. Per due giorni, sotto l’Arengario, in pieno centro, furono presenti una dozzina di case editrici di area, con un’ottima affluenza di pubblico e – tutto sommato – neppure molte polemiche. Qualche anno dopo, nel febbraio del 2001, replicai l’iniziativa più in grande, a Verona, al teatro Camploy, con il contributo dell’allora vicesindaco Luca Baiona. Con il titolo di: “Alla scoperta della cultura non conforme – Prima rassegna delle edizioni samizdad italiane”, per tre giorni ci furono migliaia di libri ma anche dibattiti di alto livello (nonché un tentativo di assalto da parte delle guardie rosse del regime).
Iniziative velleitarie? Gocce di acqua nel deserto? Eppure, ai tempi, esattamente come oggi, si cercò di coinvolgere quante più realtà e operatori culturali possibile… Cosa mancò, quindi, al punto da impedire a queste iniziative di crescere e moltiplicarsi? Non le idee, non gli uomini (pur con i limiti e gl’individualismi di cui si è detto), non i temi, non la qualità… Mancò un orizzonte comune e condiviso (o imposto) a livello nazionale. Mancarono linee guida coerenti per impostare (o almeno abbozzare) un vero cambiamento. Una rivoluzione culturale, come quella che servirebbe oggi alla nostra Nazione (e ancor più all’Europa), non può partire “dal basso” dalle mille visioni, dalle centinaia di firme, dalle migliaia di proposte ognuna delle quali è (per chi l’ha partorita) “la più importante”, per definizione.
Deve necessariamente partire “dall’alto”. C’è bisogno di un nuovo Marzio Tremaglia che riprenda quel suo “Progetto per la Cultura della Regione Lombardia” che generò 5 anni di autentica rivoluzione e rinascita. Naturalmente ci vorranno anche i fondi, come quelli che erano erogati dalla Legge 9 sulla Promozione culturale che Tremaglia ideò, promulgò e – soprattutto – controllò, evitando di impantanarsi nella palude dei favoritismi e insegnandoci un motto che, secondo me, è ancora valido, anche per questo dibattito: «L’importante non è fare qualcosa “con i nostri”, ma fare qualche cosa “di nostro”».
Guido Giraudo