Dal Recovery Fund in arrivo ingenti finanziamenti per ambiziosi obiettivi. Ma da chi saranno gestiti? E attraverso quali procedure? Dal 2021, oltre agli aiuti per la ripresa post-covid, l’Italia dovrà gestire – e saper ben spendere – i fondi strutturali europei e le risorse della politica di coesione. Una sfida complessa, per molti versi inedita, che richiederà una capacità amministrativa totalmente rinnovata.
Non sarà semplice. Spesso, i fondi Ue sono utilizzati dai Paesi solo in parte. Ancor più con il varo del Recovery fund, 672.5 miliardi per il rilancio economico, nessuno Stato può permettersi ritardi, inefficienze e che queste somme finiscano nelle mani sbagliate.
Questioni che riguardano da vicino l’Italia. Un campanello d’allarme è la capacità di spesa delle risorse comunitarie finora espressa. Il Belpaese ha speso solo il 40% – 29 su 72 mld – dei fondi strutturali, previsti nel periodo 2014-2020, destinati ad investimenti regionali e nazionali. Un 40% gonfiato – per giunta – dagli esborsi per la pandemia. Colpa di squilibri territoriali (pesanti i ritardi di spesa in alcune regioni), norme macchinose sugli appalti pubblici e lentezza amministrativa.

Tuttavia, i soldi non spesi si possono recuperare: oltre ai 209 miliardi del Recovery Fund, l’Italia dovrà così gestire – e usare entro tre anni – proprio i 43 miliardi derivanti dai fondi strutturali, scaduti nel 2020 ma non ancora utilizzati. Sul tavolo anche i finanziamenti che giungeranno dalla politica di coesione 2021-2027. Tre diversi strumenti in concomitanza. Insomma, un banco di prova dove le criticità nella gestione dei finanziamenti europei rischiano di diventare un cappio al collo per l’Italia.
Lo sa bene il Premier Giuseppe Conte quando assicura che “ci saranno corsie preferenziali per l’attuazione dei progetti del Recovery Fund”. Anche se non sono per intero note, ad oggi, le nuove procedure attraverso cui gli enti pubblici, una volta ottenuti gli aiuti dall’Europa, finanzieranno progetti locali e nazionali. Nella bozza del piano di Palazzo Chigi, si va poco oltre dichiarazioni di principio. Saranno messe in campo scorciatoie burocratiche, iter “semplificati che riducano tempi e costi dell’azione amministrativa” – scrive l’esecutivo. Sarà seguito in buona sostanza un modello più snello, già previso per bandi dedicati a progetti ad alto potenziale innovativo. Un buon punto di partenza, ma poco di fronte all’ondata del Recovery fund. Dove sarà fondamentale evitare strozzature e ritardi.
Non solo procedure: sotto la lente anche la qualità dei progetti e la tipologia di destinatari dei fondi. Un punto – quest’ultimo – dove l’Italia ha margini di miglioramento, dice uno studio della Commissione Ue. Tra i beneficiari degli appalti pubblici, meno di 4 su 10 sono piccole e medie imprese. Numeri bassi, se si pensa alle PMI come spina dorsale del tessuto economico. Troppe barriere, burocrazia – avverte il report – impediscono alle imprese più piccole di partecipare ai bandi pubblici.
Definiti, dunque, gli obiettivi del Recovery plan italiano – dalla transizione verde al sostegno della sanità – l’Italia dovrà passare l’esame della semplificazione. La complessita dei fondi in arrivo richiede un apparato pubblico in grado ricevere, assegnare e spendere (bene) gli aiuti. Prova complicata per l’attuale ed i prossimi governi. Ma d’obbligo per scongiurare una recessione ancor più grave e ripartire. Sarà, l’Italia, all’altezza della sfida?