Strano… è il primo di Settembre, quasi le 11, eppure non ho ancora sentito risuonare le note della PFM. Che, da anni, è (quasi) un obbligo, all’inizio del mese che chiude l’estate.
È una bella canzone. Quasi inutile dirlo. Gocce di rugiada… odore di terra… odore di grano. La campagna.
Evoca un’altra Italia. Oserei dire, un altro mondo.
Code di vacanza, ultimi stralci… allora le scuole aprivano il primo Ottobre. San Remigio.
E le vacanze, a settembre, erano più che altro scampagnate. A godersi il fresco delle campagna, della collina. E anche dei monti. Ché, a fine estate, la montagna è splendida. Cielo terso, aria frizzante. Certo, il sole tramonta presto. E quando tramonta… viene freddo.
Ricordo certi settembre in Cadore. Passeggiate a respirare aria buona. Colazioni al sacco. O in baita. Dove si mangiava polenta e formaggio, salsicce… uno strudel di mele.
E ricordo, soprattutto, il silenzio.
Il frastuono d’agosto si era già andato spegnendo, a poco a poco, nella seconda metà del mese. I paesi svuotati di turisti, erano tornati a quella calma che li caratterizzava per la più parte dell’anno.
I bar, tornavano proprietà dei locali, che vi bevevano grappa sul far della sera.
E, soprattutto, i sentieri fra i boschi, sui ghiajoni, tra le rocce, tornavano deserti. Senza chiassose comitive di… agostani.

Se incrociavi qualcuno, ci si salutava. “Sani!”, O, se friulano, “Mandi !”. Che vuol dire: Nelle mani di Dio! E, se ci pensate, è augurio dal sapore antico. E arcano.
Lassù, nei boschi e tra i monti che circondano il borgo dove, ora, vivo, le cose sono ancora così. Settembre significa silenzi. Aria che va, via via, diventando… frizzante. poi, soprattutto all’alba, già fredda. E la sera, per stare seduti fuori, al bar, con gli amici, ci vuole ormai una felpa.
Però, oggi, io non sono lì. Sono dovuto scendere. Tornare a Roma, per un giorno.
E qui le impressioni di settembre che mi hanno… sorpreso, sono totalmente diverse.
Perché Roma è bella, bellissima… se sei nel suo centro storico in Agosto. Pressocché deserto, a parte gruppi, scalcinati, di turisti. Ed è bellissima nei parchi, che cominciano ad assumere le tinte autunnali, opera del massimo degli Impressionisti. Il Grande Esteta, come lo chiama Pound nei Cantos.
Ma tu prova a scendere da un treno a Termini. Il primo di settembre. Quando, nella città, e, soprattutto, nelle sue vaste e desolate periferie, riprende la vita quotidiana. Quella ordinaria, di tutti i giorni… perché le ferie sono finite. Tranne che per pochi.
E allora trovi la gente che si ammassa sulle scale mobili della Metro. Che si inabissano nel ventre, oscuro, della Capitale. Un caos rumoroso, Babele di lingue, e odori che si accavallano, mescolano, contaminano. Sigarette spente e gettate al suolo. Umidità. Escrementi di animali… rifiuti.
Il vento, cupo e freddo, mosso dal treno sotterraneo che si sta avvicinando.
La solitudine caotica negli occhi dei passeggeri…
No. Non è un articolo contro Roma. Io non odio la capitale. Sono stato felice di rivedere il mio vecchio amico S., i suoi cani che mi hanno riconosciuto. E di andare a pranzo da Pino, che ci ha fatto un, gigantesco, piatto di spaghetti con cozze, vongole e telline che era un vero poema.
Però.. volevo cercare di raccontare, fuori di ogni retorica poetica, le mie impressioni di settembre. Che non avevano profumo di grano. Né la fresca purezza della rugiada.
Le impressioni di un ritorno, fugace, nel ventre, greve, della Città.