“Scusi prof.” no. Non è la brunetta briosa e inquieta. È neppure l’altra, dagli occhi profondi e tristi… questa è altra classe. La Terza. E però anche qui vi è una bruna, capelli lunghi, nerissimi. Alta. Quando passa fra i banchi scatena tempeste ormonali fra i coatti. Che, qui, sono ottimi e abbondanti…
Dimmi…
“Ma questo Cecco Angiolieri… che roba è? Cioè mi pare che sappia solo… scherzare, diciamo”
“E dì che cazzeggia no? È per questo che anche a me me piace tanto…” Eh sì… anche qui c’è un Boro. Di tutto rispetto.
Precisazione necessaria. Questa è una classe che ho preso in carico solo quest’anno. E li sto cominciando a conoscere davvero solo ora. Lo so che siamo a Maggio. E che l’anno sta per finire. Ma provateci : mesi in DAD. Icone, telecamere spente. Silenzi frustranti. Poi lezioni a gruppi. Poi a settimane alterne, come ora. È l’alienazione, voluta, di ogni rapporto fra insegnanti e studenti. Voluta. Senza ragioni. O meglio per ragioni inconfessabili. Ringraziamo di questo Conte, Azzolina bocca di rosa. Draghi… E soprattutto tutti quelli che ancora strisciano contro i muri per paura del virus. Anche, soprattutto insegnanti… Ma torniamo all’Angiolieri.
Hai ragione. Cecco non è una cosa seria. Ma, al tempo stesso, è un grande poeta. E uno che se ne intendeva, che fu suo contemporaneo e amico, lo riconosceva come tale…
“Chi prof.?”
Dante. Erano contemporanei. E amici. Anzi compagni di bisboccia. Perché Cecco era senese, di antica casata, per altro. Ma si era trasferito a Firenze. O meglio, aveva dovuto rifugiarvisi. Per bando politico, si dice. Ma anche perché aveva combinato un mucchio di guai. Risse. Adulteri. Scandali. E sembra sia stato implicato anche in un omicidio. Si salvò perché il padre era un pezzo grosso. Uno che in città contava…
“Il solito raccomandato. Non cambia mai la storia, eh prof.?”
Vero. Però sembra che il padre, almeno, lo avesse diseredato. E non era cosa da poco. Suo padre, Angioliero degli Angiolieri, era un grande banchiere. Figlio di Angioliero I detto Solafica…
E qui si scatena il caos. Il Boro ci manca poco che salga sul banco. I coatti inscenano una Ola. E molte delle ragazze hanno le lacrime agli occhi dal gran ridere. Proprio una bella classe, non c’è che dire. Capisco perché alcune colleghe, quelle con le mascherine griffate, si lamentino sempre… Peccato davvero non averli conosciuti prima. E meglio…
Ci metto un bel po’ a riportare la calma. Poi…
È vero che qualcuno mette in dubbio tale amicizia. Ma secondo me lo fa per una sorta di moralismo critico. Sfruttando il fatto che della Tenzone fra i due abbiamo solo la parte dell’Angiolieri. E non le risposte di Dante. Cosa che, però, non dovrebbe meravigliare. L’Alighieri scrisse molto che non ci è giunto. Il Serventese delle Donne e altro…
“E che è sta tenzone prof.?”
La Tenzone è un duello in versi. Scherzoso, ironico. Ma senza esclusione di colpi. Rispondendosi per le rime. Ovvero usando le stesse rime. Per far vedere chi era il più bravo. E Cecco tenzonò con Dante. Del quale non abbiamo le risposte… Ma solo il fatto che avesse accettato la tenzone, significa che lo stimava. Come amico e come poeta. E poi erano stati compagni d’armi. Combattendo assieme, da parte guelfa, a Campaldino.
“Anche Dante aveva combattuto prof.?” il coatto di turno sembra stupito. Eppure credo di averlo detto almeno una volta. Nei mesi della DAD..
Certo. Non pensate a Dante, anzi non pensate a nessun poeta o scrittore come una sorta di sorcio di biblioteca. Questa è l’immagine, fasulla, che spesso vi trasmettono la scuola e certi libri di testo. Erano uomini, vivi, con passioni forti. E spesso vite complicate. Il formalismo culturale preferisce dimenticarlo. O negarlo.
“E perché prof.? Perché ci nascondono questo?”
Mah.. forse perché dà fastidio. Fastidio mostrare di che pasta erano fatti. Che era ben altra cosa da quella, molliccia e flaccida dei, cosiddetti, intellettuali contemporanei.
(risate. Hanno colto…)
Con alcuni, però, non è possibile. Perché la loro poesia è totalmente riflesso delle loro vite. Come nel caso dell’Angiolieri. E allora si cerca di ignorarli. Li si riduce a personaggi marginali. Privi di sostanza.
“Ma che sostanza avrebbe questo Cecco, prof.?” gli occhi della bruna appaiono perplessi “Certo, è simpatico, è divertente… ma…”
C’è la sostanza, invece. E molta. Prendiamo le rime, diciamo così, d’amore per la Donna. Dei contrasti, quindi sorta di dialoghi. Iniziano con modalità cortesi. Addirittura stilnovistiche, ma poi…
“Poi c’è dà dentro come un riccio!” esplosione, anzi eruzione vulcanica di risate. Niente da fare. Cambiano le classi, i volti, i nomi… Ma il Boro è sempre il Boro. Figura archetipica, oserei dire…
Riporto il silenzio. Poi….
In un certo senso non hai torto. Cecco canta un amore terreno. Giocoso. Addirittura mercenario per una Donna che non si chiama Beatrice, Vanna, Lagia… Ma molto più prosaicamente Becchina…
“A prof., un nome un programma. E magari un po’ mignotta pure…”
Non un po’. Molto. E pure costosa…
Le risate ora passano i muri… Chissà che penseranno le colleghe, quelle che vivono, si fa per dire, in un’atmosfera di perenne panico da Pandemia… meglio non pensarci… Continuo…
Cecco canta l’amore carnale. Il piacere dei Sensi. Che vi è anche in Dante, talora. Ma in scritti trascurati. Erroneamente. Perché per comprendere la sublimazione della passione per Beatrice, bisogna passare anche attraverso questi. Prima di diventare luce, il fuoco deve ardere, bruciare…
“E Cecco arde, prof.?”
Sì. Arde e si diverte ad ardere, si gode la vita. Costi quel che costi. Perdita del ruolo sociale. Esilio. Emarginazione.
E, in fondo, lo fa perché è un ribelle.
Così si spiegano i suoi versi più famosi: S’i fosse foco… ”
Suona la campanella. Mi metto la mascherina, e mi accingo ad uscire..
” Ma lei prof… per cosa preferirebbe adere? Per un Amore spirituale o… ”
Accidenti, anche qui… Una bruna dagli occhi maliziosi…
Meglio affrettarsi ad uscire…