Le elezioni di medio termine si avvicinano, i sondaggi sono estremamente negativi ed il presidente Biden tenta di risalire la china attraverso la moltiplicazione degli atti di provocazione in ogni parte del mondo. Dopo aver provocato Putin in Ucraina sino a portarlo alla guerra, sta cercando di aumentare il livello di tensione nei Balcani e, con il viaggio di lady provocazione a Taiwan, ha portato a livello di guardia anche i rapporti con la Cina. Il tutto con l’accondiscendenza servile ed ottusa degli atlantisti.
“La mia impressione – spiega Daniele Lazzeri, presidente del think tank Il Nodo di Gordio – è che il moltiplicarsi vertiginoso di nuovi focolai di crisi in diverse aree del pianeta rappresenti la crescente debolezza politica e militare statunitense. Le oggettive difficoltà sul fronte ucraino – che nonostante le baldanzose dichiarazioni di Zelensky dimostrano l’impossibilità di una resistenza ad oltranza nei confronti della potenza di fuoco russa – stanno a mio avviso costringendo gli Stati Uniti ad accendere pericolose micce in altri Paesi. Lo vediamo con il riaccendersi del conflitto balcanico tra il Kosovo e la Serbia a pochi mesi dalle elezioni in Bosnia Erzegovina del prossimo 2 ottobre e con l’improvvisa, quanto improvvida, visita a Taiwan della speaker della Camera Nancy Pelosi”.
Il rischio è che si tratti solo di un inizio. E che a Washington meditino di aumentare le aree di conflitto, senza la necessità di intervenire direttamente ma utilizzando la stupidità dei servi sciocchi.
“L’Amministrazione Biden – prosegue Lazzeri – sta quindi attuando una strategia di disarticolazione globale attraverso delle “proxy war”, delle guerre per procura, che incidono pesantemente sul già delicato equilibrio in alcune faglie geopolitiche oggetto di conflitti e paci congelate. Non mi sorprenderebbe che, nelle prossime settimane, potremmo assistere a nuove tensioni nei territori mediorientali ed in Nord Africa. Penso in particolare alla Siria e alla Libia dove, con grandi difficoltà si era giunti ad una sostanziale stabilità tra gli interessi russi e le influenze turche. I recenti successi in campo diplomatico acquisiti dal Presidente Erdogan, tuttavia, rappresentano una pericolosa minaccia per l’Amministrazione Biden. Pur essendo un baluardo della Nato nel Mediterraneo, una Turchia troppo indipendente ed autorevole che, anche negli ultimi anni, ha ammiccato ripetutamente al Cremlino non rappresenta una sufficiente garanzia per le strategie di conservazione del potere americano nel quadrante euro mediterraneo”.
E la tensione provocata dalla Nato in Kosovo va appunto in questa direzione. Perché Mosca è legata a Belgrado mentre Ankara tutela i musulmani kosovari. Così come gli atlantisti italiani potrebbero favorire un innalzamento della tensione in Libia dove Putin ed Erdogan erano riusciti a trovare una sorta di modus vivendi tra Tripolitania e Cirenaica.
Quanto alle conseguenze della provocazione di Nancy Pelosi, “con tutta probabilità – conclude Lazzeri – la risposta cinese non avrà immediati risvolti militari. Non è interesse di Pechino, infatti, scatenare uno scontro diretto con gli Stati Uniti. Ciò che ci si può attendere, invece, saranno delle ritorsioni commerciali e diplomatiche che rafforzeranno ulteriormente i rapporti che il Presidente cinese Xi Jinping sta tessendo da anni non solo con Vladimir Putin ma con gran parte dei Paesi non allineati all’Occidente a guida americana”.