Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale stato di segregazione è l’assuefazione.
È pur vero che siamo portati ad abituarci a tutto e in particolar modo alle disgrazie. Un lutto, un evento imprevisto, persino i cataclismi ci colpiscono e ci feriscono.
Ma poco alla volta la vita riprende, i nostri pensieri passano oltre, ce ne facciamo una ragione: in una parola ci abituiamo alla nuova situazione e tiriamo avanti. Il nostro cervello è selettivo ed è strutturato in modo tale da rimuovere il peggio per lasciar posto al meglio.
Succede così con i terremoti, le catastrofi, la scomparsa dei familiari, i tracolli economici. Senza pensarci passiamo oltre, ci adeguiamo alla nuova situazione; in una parola ci lasciamo prendere dall’assuefazione.
È la cosa che ci sta succedendo oggi. Dopo due mesi di arresti domiciliari abbiamo cominciato a farci l’abitudine. Quello che ci appariva come mostruoso, oggi comincia ad apparirci normale. Il governo ci preannuncia altre settimane di segregazione e noi, invece di infuriarci, ci prepariamo ad affrontare con il capo chino il nostro destino nella convinzione che, prima o poi, tutto questo dovrà pur finire.
Intanto corriamo a cercare i guanti in lattice in farmacia o al supermercato. Non sappiamo bene come si usino o a che cosa servano, ma li indossiamo, anche con una certa civetteria. Noi che li abbiamo trovati solo blu, guardiamo con invidia il nostro vicino, quello che sta facendo la coda con noi, che è riuscito a trovare quelli trasparenti, che quasi non si notano; e lanciamo un’occhiata piena di disprezzo a quell’altro che usa i guanti che si usano al distributore per fare rifornimento di carburante, o nel supermarket per scegliere la frutta.
E poi ci divertiamo ad andare alla ricerca di quelle mascherine colorate che noi non siamo riusciti a trovare. C’è che se le disegna e confeziona in proprio per poterle sfoggiare in un selfie da pubblicare sui social; o che fruga all’interno dei siti di e-commerce per trovare il modello più à la page o più trasgressivo, più frou frou o più artistico.
Si tratta di un fenomeno assai preoccupante: chi crede che prima o poi la gente scenderà in piazza, per gridare in faccia ai politici la propria rabbia per il modo disastroso con cui stanno gestendo questa situazione, si illude. Quando sarà dato il permesso a bar e ristoranti di riaprire, e ci accorgeremo che due su tre non rialzeranno le serrande, penseremo che, in fondo, quando era tutto chiuso non si stava poi così male. Quando scopriremo che l’economia ha subito un tracollo rovinoso, ci terremo stretti i quattro soldi che avremo salvato e cercheremo di tirare avanti. Vuol dire che invece di andare tutti i giorni al bar e una volta a settimana al ristorante, o quindici giorni in vacanza, non ci andremo più. E ricorderemo con nostalgia i bei tempi del coronavirus: i silenzi, la tranquillità, le belle giornate passate in famiglia, eccetera.
E ci ripeteremo per l’ennesima volta il trito luogo comune “si stava meglio quando si stava peggio”.