Per molti le vacanze sono già finite o comunque volgono al termine. Si rientra al lavoro con la consapevolezza che nulla sarà come prima. Per poi scoprire che, al di là della consapevolezza, tutto è rimasto uguale. Anzi, si tende a tornare indietro. Certo, a chiacchiere non è così. Il presidente di Confindustria, Bonomi, torna a parlare di smartworking proprio mentre l’ex compagno Brunetta – sì, proprio quello che ora fa l’iperliberista berlusconiano – cancella il lavoro da casa nella pubblica amministrazione. Ma, soprattutto, Bonomi ne parla mentre l’avvio del campionato di calcio dimostra che il digital divide resta un problema colossale ed irrisolto in Italia.
È vero che il cambiamento sta ponendo vari dubbi un po’ ovunque. I grandi gruppi multinazionali vorrebbero introdurre lo smartworking generalizzato ma con riduzioni delle retribuzioni: se il dipendente lavora da casa non deve affrontare le spese di trasporto, dunque può guadagnare meno. Dimenticando, ovviamente, che se l’azienda non deve affrontare le spese per sedi, uffici, scrivanie, luce, riscaldamento e mensa, risparmia una montagna di denaro che potrebbe distribuire ai dipendenti.
Altri gruppi pensano, invece, ad un salario differenziato non per mansione ma per collocazione territoriale. In Italia esistevano in anni lontani e si chiamavano “gabbie salariali”, ma ora si troverà una definizione in inglese per fare apprezzare la novità. In pratica la retribuzione verrà parametrata sul costo della vita. Dunque il salario sarebbe più alto per chi vive a Milano rispetto a chi vive a Tricarico, anche a parità di lavoro svolto. Perché un affitto, ma anche solo una pizza al ristorante, a Milano costa più che in Lucania. Logica vuole che tutti si prendano la residenza a Milano pur continuando a vivere a Tricarico lavorando in smartworking. Mentre sarà complicato valutare le differenze del costo della vita tra le località turistiche valdostane, più care di Milano, ed i paesi a fianco, non turistici, dove il prezzo di un’abitazione si riduce di 3/4 volte.

Peccato che tutti i grandi strateghi delle multinazionali abbiano fatto i conti senza considerare una piccola variabile: i lavoratori. Quelli bravi, in particolar modo. E che paiono intenzionati a mettere sul tavolo delle trattative la propria professionalità. Di fronte alle rigide imposizioni dei maghi delle strategie di rinnovamento del lavoro a distanza, i professionisti migliori decidono di abbandonare i grandi gruppi e di scegliere aziende più piccole, molto più flessibili, molto più attente alla qualità del lavoro come conseguenza del benessere del lavoratore. Perché chi sceglie di vivere in mezzo alla natura, e produce qualità, non apprezza di essere pagato meno rispetto ad un collega che preferisce le risse quotidiane tra spacciatori in una grande città.
In un mondo del lavoro in continuo mutamento, i piccoli possono sfidare i giganti proprio sulla base della qualità. Che non si ottiene riducendo i salari ed aumentando i disagi.