“Una valle con la più alta densità al mondo di straordinari ingegneri per lo più noiosi”. Una magistrale definizione di Silicon Valley da parte di Adriano Marconetto, torinese che la Valle californiana l’ha conosciuta direttamente (pur senza essere noioso). Un luogo dove si guadagna tantissimo e si lavora moltissimo, spietato al di là di quanto si possa immaginare. Dove tutti vogliono arrivare ma da dove la metà riparte, sconfitta, dopo pochi mesi.

Poco importa se ora alcune aziende la stanno abbandonando per trasferirsi lontano dalla California per una serie di motivi fiscali ed ambientali. Ciò che conta era l’idea, vincente, di attrarre e concentrare intelligenze per produrre qualcosa, in questo caso innovazione tecnologica. Ma la stessa logica può essere applicata a qualsiasi settore.
In fondo le prime proposte di Beppe Sala, sindaco di Milano, in vista del suo secondo mandato vanno in questa direzione. Sala è un sindaco mediocre, ma umanamente è peggio, però ha la capacità di ascoltare le idee intelligenti. Ed ha ipotizzato di creare tanti poli in Milano, tante realtà autosufficienti che offrano tutto e di più in un’area raggiungibile in un quarto d’ora.
Più facile a dirsi che a farsi. Ma sarebbe un progetto molto più facilmente realizzabile al di fuori delle grandi città. Perché i centri storici, a Milano, Torino, Roma e Napoli, sono lontani dalle periferie ed offrono servizi che in periferia non ci sono e che non potranno esserci. Si può moltiplicare il numero degli uffici anagrafici per agevolare le periferie, ma non si può pretendere che la Rinascente si moltiplichi in ogni quartiere, che il Quadrilatero della moda si replichi ovunque, dalla Bovisa a Lambrate.
Nei piccoli centri, al contrario, tutto è già concentrato in un’area limitata. Dunque serve soltanto la capacità di attirare le intelligenze, le competenze. Cioè proprio quello che, in pratica, non si vuol fare per paura di alterare gli equilibri locali.
La paura, il sentimento che ormai caratterizza maggiormente gli italiani, dal Nord al Sud, compresi quelli che dichiarano di non sentirsi italiani. Facile far dilagare il terrore di una malattia tra una popolazione che ha paura di doversi confrontare con qualcuno più preparato, più intelligente, più competente. La logica della cooptazione vale in ogni angolo della Penisola e delle Isole: promuovere i peggiori per non avere concorrenza.
I risultati sono disastrosi, ma si procede. I ragazzi più preparati, o con più sogni, abbandonano le piccole realtà perché non offrono prospettive affascinanti. Da fuori non arrivano competenze e professionalità perché vengono osteggiate da chi non si sente all’altezza delle sfide che comporterebbe la creazione di poli di intelligenza.

Sono falliti i progetti autoreferenziali di artisti che volevano recuperare borghi abbandonati nell’illusione che bastasse quello per trasformarli in Caravaggio o Michelangelo. Mentre non si è neanche provato a fare qualcosa nei luoghi dove sarebbe stato più facile: le località turistiche. Laddove si ritrovavano filosofi ed architetti, ingegneri e musicisti, industriali e docenti universitari. Sarebbe bastato un personaggio locale a fare da catalizzatore per far rete, per mettere in relazione i cervelli degli ospiti, per farli interagire, per far nascere iniziative a favore del territorio.
Ma era più facile aumentare i prezzi nelle pizzerie, nei negozi, per i servizi. Tanti, maledetti e subito.