Ancora sui sogni. Sono ripetitivo, è vero. Ma è tema, o meglio materia che mi ha sempre affascinato. E che, ciclicamente, ritorna. Basta un niente. Una frase come quella di Poe, che leggo su Fb. Coloro che sognano di giorno, vedono cose che restano ignote a chi sogna solo di notte.
E lui, Edgar Allan Poe, di sogni, ed incubi, ad occhi aperti se ne intendeva come pochi. E se avete letto anche solo qualcuno dei suoi racconti, soprattutto quelli del terrore come “Ligeia” o “La caduta della casa Usher”, ne converrete con me.
Sognare ad occhi aperti, di giorno, è, in effetti, un dono. Ma un dono in certo qual modo crudele. Come quello che Apollo fece a Cassandra. Perché questo, particolare, “sognatore” vede ciò che agli altri si nega. Ma non è sempre tutto rose e fiori. Anzi…
E la narrativa neo gotica, di cui Poe fu il maestro, è tutto, in fondo, un sognare ad occhi aperti. È così Lovecraft, incomparabile nel veder sorgere città da incubo e figure tanto meravigliose quanto terrifiche dalla, apparentemente banale, realtà quotidiana. Lovecraft, per sua stessa ammissione, non credeva in nulla. Non aveva una convinzione religiosa. E neppure un qualche retroterra metafisico. Per lui la realtà era quella che era. Cose, abitudini… materia. Solo che… sognava. Da sveglio. E in quel sognare gli arrivava addosso ben altro. Cui gli era impossibile sfuggire. E così sognava che dietro all’ordine apparente delle cose, dietro a quello che siamo soliti chiamare Cosmo, si muova una potenza oscura e mutevole. Che conduce gli uomini alla pazzia, aprendo continui spiragli tra il nostro, piccolo, mondo reale, e una dimensione immane dove urgono forze inconcepibili e devastanti. Lovercraf lo sognò. E gli diede nome Nyarlathotep. Il Caos strisciante.
Certo, sognare di giorno, da svegli, non è necessariamente sempre e solo incubo. È, però, vedere al di là delle cose apparenti. E potremmo disturbare Schopenhauer..
Ma preferisco ricordare gli insegnamenti di don Juan, lo stregone yaqui dei libri di Carlos Castaneda. Che divide gli uomini, o meglio gli stregoni guerrieri – gli unici veri uomini, nella sua concezione – in due categorie. I cacciatori e i sognatori. Che, poi, a pensarci bene, sono due archetipi ancestrali. Di ciò che eravamo. E che abbiamo da tempo dimenticato di essere. Il cacciatore segue le tracce, tende le reti. Fa la posta alla preda. Sia fisica che metafisica. Ma è il sognatore che legge il libro del mondo. Che vede oltre l’apparenza. Che crea il legame con ciò che è altrove. Al di là della mera quotidianità.
Sognare di giorno. Che non è fantasticare o, peggio, costruire castelli in aria. Di inconsistenti illusioni. Il sogno diurno è vedere, oltre ciò che vedono gli occhi. Non a caso Omero è cieco. Non ha bisogno degli occhi fisici. Vede oltre, sogna gli Dei e gli Eroi.
Aggirarsi nelle strade oggi. Nello squallore di una quotidianità sempre più grigia. Sempre più repressa. Dominata dalla meschinità e dalla paura. Ma sognare. E vedere altrove al di là da questo. Un altrove popolato, certo di mostri. Ma dove è possibile lottare. E vedere potenze diverse combattere. Per ridare vita e luce. Come nel quadro del Carpaccio, a Venezia. Il San Giorgio che trafigge la lingua del Drago.
Sognare anche le relazioni umane. Gli amori. Al di là di ciò che sono, o meglio sembrano essere. Perché il sognatore diurno vede al di là della dimensione spazio tempo ordinaria. Quella che ci imprigiona. E che, alla fin fine, non è altro che un palcoscenico. Una finzione. E, per Pirandello, i personaggi quelli veri, vengono dalla platea. Dalla oscurità della vita. E del sogno.