Tra le battaglie Omero, nel carme tuo sempre sonanti, la calda ora mi vinse…
Beh… a differenza del professor Carducci, io non stavo, qui, a leggere Omero. Ma l’ora era calda. Calda davvero per i primi di giugno…anche se lui era a Bologna. E la città felsinea, sotto il sole estivo si trasforma in un’incudine rovente. Battuta da un maglio di fuoco. E a Roma, con i suoi colli e qualche remota brezza marina, in genere le cose vanno un poco meglio. Va anche detto, però, che ai tempi delle Odi Barbare – da cui questo “Sogno d’estate” – l’anticiclone sui nostri cieli era quello delle Azzorre. Incomparabilmente più fresco e meno afoso dell’attuale. Quello africano, che da un paio di decenni ha preso l’abitudine di migrare a nord…forse perché in Africa non si trova più a suo agio. O, più probabilmente, perché è l’Africa tutta, clima e genti, che sta venendo a noi. Prendendosi una rivincita epocale sui secoli del colonialismo…
Comunque, anche a me ha preso la classica botta di sonno post-prandiale. Quella che qui chiamano “cicagna”. Anche se avevo mangiato ben poco, mozzarella e pomodori. E bevuto solo una birra leggera. Mentre, conoscendo le abitudini del Carducci, dubito che, nonostante la calura, egli si fosse contenuto nel mangiare. E, soprattutto, nel bere….gran cultore quale era del Sangiovese e del Lambrusco, fresco di cantina…
Comunque, anche a me si è reclinato il capo. Non in riva di Scamandro, ché, appunto, mica stavo leggendo l’Iliade, bensì le bozze di un mio articolo destinato a “Il Nodo di Gordio”. Uno dei miei usuali pastoni di geopolitica. E penso che proprio la rilettura di questo abbia avuta non poca parte nell’abbiocco. E nel sogno conseguente. Tralascio ogni riflessione, che certo verrà fatta dal Direttore: se ciò che scrivi fa questo effetto a te…figuriamoci agli altri…
Comunque, mi addormento. E sogno. La stanza non è più una stanza. Ma uno spazio aperto. Vasto. Anzi tanto vasto da farmi quasi spaurire il cuore…questo, però, è Leopardi. E qui c’entra ben poco…
Però ero in montagna. Perché vedevo, o meglio intuivo intorno a me, delle vette. Strane, a dire il vero. Anzi estranee. Perché, vedete, io le montagne le sogno spesso. Anzi, devo dire che i miei sogni felici sono quasi sempre ambientati fra i monti. I monti nostri, però. Il Cadore della mia giovinezza. Il Trentino del mio presente. Monti che mi sono familiari, con i loro declivi morbidi coperti di boschi, larici, abeti , lecci…
Ma queste erano montagne ben più aspre. E tetre. Aride e scoscese. A me ignote. Anche se mi dicevano qualcosa…delle foto. Delle immagini.
Non ero solo. E anche gli uomini che mi stavano intorno mi erano sconosciuti. Eppure, avevano un che di familiare, con le loro vesti strane, copricapi come turbanti o simili e…armi. Fucili di vecchio tipo. E lunghe spade e pugnali nella fascia che faceva loro da cintura…
Talebani… sapevo esattamente cosa e chi erano. Di immagini ne avevo viste a josa. E su di loro, per altro, ho anche scritto più di una volta…e quelle che vedevo erano, quasi sicuramente, le montagne del Waziristan. Roccaforte da sempre delle genti pashtun. I feroci montanari che costituiscono il nerbo dei Taliban. Gli studenti coranici, che ormai controllano tutto l’Afghanistan. Dopo la ritirata strategica (si legga: vergognosa fuga) delle truppe statunitensi e alleate…
Già… Talebani… Ma che diavolo ci facevo io lì in mezzo? Ero forse stato rapito? Allora più che un sogno, questo era un incubo d’estate….
Però se incubo era, stranamente non mi incuteva alcuna paura. Non provavo né ansia, né angoscia. Come mi accade, invece, con il ben più usuale incubo di cadere in un vuoto senza fine. Che mi assale spesso. Soprattutto se la sera ho mangiato il pollo coi peperoni o l’impepata di cozze…
Qui, invece, ero bello sereno (oddio, bello…commenterà il Direttore…). Me ne stavo seduto su dei cuscini, bevevo il tè. Mangiavo carne di agnello arrosto e frutta. Niente male per un incubo.
E la compagnia, per quanto non molto rassicurante, era tutto sommato…allegra. Si scherzava. E si rideva. Qualcuno raccontava aneddoti… altri storie… Vagamente ricordo qualcosa a proposito di Iskandar. Che è poi il nome che danno ad Alessadro Magno. Ne serbano una memoria notevole. Per i bambini afghani è quello che, un tempo, per noi era l’uomo nero delle fiabe. Il Macedone, unico a conquistare quelle terre aspre e sottomettere quelle genti dure, doveva aver davvero fatto carne da porco al suo passaggio…
Si vabbè, mi si dirà… E tl ti sentivi bene in quella compagnia? Allora avevano ragione quei tuoi studenti che ti avevano definito “un po’ più a destra di Gengis Kahn”…
Però vedete, quello era un sogno. Non un ragionamento politico. E lì mi sentivo…bene. Senza troppi pensieri. La dichiarazione dei redditi… Le bollette, drogate, da pagare. La mascherina da mettere sul bus. Gli scrutini di fine anno. La DAD, il web, le password e le aree riservate… Le circolari, il politicamente corretto, i vaccini e i dati della nuova pandemia (quella della Scimmia) imminente. Le maratone di Mentana. Draghi e Speranza. La Ue e le sue regole. Lo smartphone e le chat di lavoro e quella della scuola di mio figlio…gli orari, la spesa, la signora che ti guarda torva perché entri (finalmente) a volto scoperto nel negozio…i problemi di parcheggio, gli ingorghi di traffico, la parcella dell’avvocato per la separazione, ecc… ecc…
Insomma, ero lì. Senza tanti pensieri. In mezzo a uomini feroci, forse. Per certi versi primitivi… E mi sentivo incredibilmente a mio agio. Direi…addirittura felice.
Ma era solo un sogno, o un incubo, d’estate.
E mi sono svegliato…