Supererò le correnti gravitazionali…
Le parole e le note de “La cura” mi raggiungono dalla televisione. Che ho riacceso. Dopo tanto tempo. Anni. Da prima di quella follia, un popolo segregato in casa… la chiamano lockdown, perché suona meglio… ma vuol dire sempre la stessa cosa. Privazione della libertà.
L’avevo spenta allora, la televisione. Mi era divenuta, semplicemente, insopportabile. Quei toni concitati… quel gusto, compiaciuto, di enfatizzare la paura. Seminare il panico. Il servilismo privo di dignità… di qualsivoglia estetica.
Un soprammobile inutile. Cieco. Sul quale posare un vaso. Lì, ad ingombrare il salotto.
Sì, mio figlio qualche volta la accendeva. Per guardare un cartone animato. Ma, nelle settimane, sempre meno. Non me ne ha mai parlato, ma anche a lui doveva essere venuta a noja.
Stamattina, però, la ho riaccesa. Senza, in realtà, sedermi per guardare qualcosa, un programma definito. Ho girato un po’ di canali. Poi, a caso, lo ho lasciata su un programma di musica. Vecchie canzoni. Mettendomi a fare altro.
Forse avevo solo bisogno di sentire una voce in casa. Perché, oggi, sono solo.
Mio figlio è via. E fuori… piove. Piove da ieri sera, ininterrottamente. Alternando piovaschi leggeri a veri e propri fortunali. Senza pausa. Senza sprazzi di cielo sereno.
L’estate si è rotta. Ed è stata una strana estate davvero. Alcune ondate di calore. Ma nel complesso… fresca. Anzi, una delle più fredde, e piovose, che io ricordi. Ad inizio agosto abbiamo avuto alcune mattine con 9°.
Poi, naturalmente, per un paio di settimane è arrivato lo scirocco. E anche qui sembrava di vivere in un forno.
Così i catastrofisti prezzolati hanno potuto continuare a strillare all’emergenza climatica. Alla quale, però, non crede più nessuno. Se non quelli che, ancora, girano con le mascherine… la carenza di ossigeno al cervello gioca strani scherzi… o, forse, erano sempre stati così.. l’emergenza Covid ha solo fatto emergere la loro… beh, diciamo natura autentica.
Comunque, oggi, sono solo. E guardo dalla finestra, rigata di gocce, le vie del borgo. Praticamente deserte. Non dico che non c’è un cane… perché i padroni dei cani sono gli unici che si vedono, frettolosamente, passare. Con il guinzaglio in mano. E vestiti in modo approssimativo. Felpe col cappuccio e giubbetti, sopra pantaloncini corti. E ancora sandali ai piedi, fradici.
Sciatteria di questi, confusi e improvvisi, cambi di stagione.
È, però, una solitudine… diversa. Ho sempre provato la solitudine malinconica d’inizio autunno. E… mi piaceva. La fine dell’afa, il poter tornare a raccogliersi in se stessi… i libri. Il silenzio. Tornare a pensare dopo una stagione… estroversa. Ché l’estate è… onirica. Percezione e immagini. Sogni.
Oggi, però, è diverso. Perché la solitudine la avverto come una… assenza. Qualcosa, anzi qualcuno che mi manca.
Guardo, in alto, il Castello. Avvolto dalle nubi. Sembra un quadro astratto. O un paesaggio neo-gotico. Pochi giorni fa lo vedevo diverso. Avvolto da una luce calda. Ma non ero solo… allora.
Poi, squilla (come si diceva un tempo) il telefono. E, d’improvviso, l’umore autunnale svanisce. Non sono più solo. Mi raggiunge… una voce.
Spengo il televisore.
Forse ho… superato le correnti gravitazionali.