30.220 nuovi contratti di lavoro in Piemonte previsti in questo mese. Evviva! O forse no. Perché, rispetto al giugno dello scorso anno, il calo è superiore al 4%. Ed i dati – resi noti da Unioncamere – sono negativi anche su base trimestrale. Però ciò che conta è come si presentano i dati. Così, a inizio settimana, sempre Unioncamere Piemonte aveva comunicato che il Pil regionale cresce dell’1,4%. Evviva? No, perché la crescita è dimezzata rispetto ad un anno prima.
Le due analisi, benché presentate in contesti diversi, sono in realtà strettamente collegate. Basti pensare alla composizione delle nuove assunzioni. Solo il 14% è costituito da laureati ed il 28% da diplomati. Le qualifiche professionali e l’assenza di un titolo specifico pesano rispettivamente il 23% e il 34%. Dunque, mentre nei convegni pubblici si millanta di puntare su giovani sempre più preparati e qualificati, nella realtà i laureati costituiscono solo una minima percentuale dei neoassunti. E sono meno della metà rispetto a coloro che non hanno la benché minima qualifica al di là della terza media.

Però si punta sulla qualità. A parole.
Ovviamente la stabilità del posto di lavoro non è prevista. Più del 60% dei contratti è a tempo determinato. Insomma tutte le caratteristiche tipiche di una regione che intende crescere sulla qualità del lavoro, sulla competenza. Che vuole attrarre i giovani migliori e più qualificati da ogni parte del mondo.
L’importante è che qualcuno ci creda.
Però proprio gli imprenditori sono i primi a non crederci. Più del 50% ritiene, infatti, di incontrare crescenti difficoltà nel reperire manodopera. Soprattutto tra i laureati del settore scientifico e di quelli del comparto sanità. E gli imprenditori si lamentano anche della inadeguata preparazione degli eventuali, sempre più eventuali, candidati.
Un atteggiamento curioso, quello degli imprenditori. Il 62% vuole personale con esperienza nel settore, offrendo però in cambio contratti a tempo determinato. Non è chiaro perché un lavoratore esperto e qualificato dovrebbe accettare simili proposte. Anche perché non c’è nessuna autocritica sui livelli salariali. Gli infermieri ed i medici fuggono dalle strutture pubbliche, con contratti a tempo indeterminato, perché i salari sono troppo bassi e l’organizzazione del lavoro pessima, e dovrebbero accorrere felici ad accettare contratti peggiorativi e precari?

Non a caso il 20% delle assunzioni riguarderà personale immigrato. Con la speranza che i più disperati possano accettare le nuove regole di sfruttamento nel mondo del lavoro italiano.