Di lotta e di governo. C’era una volta la Lega Nord, poi solo Lega. Che riusciva ad interpretare speranze e malcontento. Non solo al Nord. Ora i sondaggi registrano settimanalmente un declino da cui il partito di Salvini non pare intenzionato a porre rimedio. Ci ha provato il leader, prendendo inizialmente le distanze dall’idiozia delle sanzioni. Ma appena i chierici di regime, ed anche i suoi alleati, lo hanno attaccato, Salvini ha fatto marcia indietro. E la Lega è calata ulteriormente nei sondaggi, facendosi superare dai pentapoltronati di Conte che ha ripreso ad incassare consensi nel momento in cui ha smesso di fare il moderato.
Reazione al declino? Nessuna. Si procede come se nulla fosse, come se le prospettive fossero le stesse di un paio di anni orsono. Nessuno scatto, nessuna idea forte. Nessuna capacità di marketing, la comunicazione in mano a dilettanti allo sbaraglio. Le amministrative sono andate male, le candidature totalmente sbagliate. E che si fa? Si insiste con una classe dirigente imbarazzante. Ogni territorio con il proprio circolo magico, assolutamente autoreferenziale. Squadra che perde non si cambia.
Eppure lo schieramento destrocentrista avrebbe bisogno di una Lega vivace, vitale, in grado di rappresentare una consistente parte di elettorato. Una Lega popolare, soprattutto nel momento in cui gli alleati scelgono di essere i portavoce di altri interessi. Una Lega che abbia anche la capacità e il coraggio di guardare alla politica internazionale con un occhio diverso rispetto agli atlantisti che attendono gli ordini di Washington. Ma per farlo occorrerebbero, appunto, capacità e coraggio. Servirebbe quella competenza che, al contrario, pare mancare e non solo sul fronte della geopolitica.
Basti pensare al nulla cosmico in ambito culturale. Lontanissimi gli anni di Miglio, lontani anche quelli di Oneto che, peraltro, non fu mai particolarmente amato dai vertici. E fu breve la stagione ricca di speranze di Gipo Farassino.
Però si è scelto di non cambiare. Di rinunciare ad incidere sulla cultura, che dovrebbe essere alla base di un cambiamento politico e sociale di un Paese. Si è scelto di rinunciare all’informazione, alla comunicazione. Tristi storie quelle del quotidiano La Padania ed anche della radio. Eppure mai che si sia pensato ad invertire la rotta. Neppure quando i grandi risultati elettorali hanno cominciato a venir meno. Era sempre colpa degli altri, del destino cinico e baro, degli elettori che non capivano. Ed ora si marcia felici verso un drastico ridimensionamento, senza che si inizi almeno a discutere di come correggere il trend dopo il 25 settembre.