Nelle ultime settimane i botteghini d’oltreoceano hanno attraversato una delle stagioni più deprimenti in termini di offerta e vendite degli ultimi decenni. Tra flop da 300 milioni di dollari, spettatori ormai saturi delle formule ultra ripetute dai grandi produttori di blockbuster hollywoodiani e progetti di interesse numerabili sulle dita di una mano monca, la scena cinematografica occidentale ha avuto poco di cui bearsi in questo periodo di sterilità creativa e controversie dietro le quinte, sfociate nelle proteste che stanno accendendo il mondo dello spettacolo negli ultimi giorni.
In questo periodo di aridità, un progetto indipendente al centro di grossi dibattiti pubblici per i suoi temi controversi e, a detta di gran parte dell’intellighenzia progressista americana, pericolosi si è affacciato nelle sale statunitensi diventando un piccolo fenomeno: stiamo parlando di Sound of Freedom, pellicola che dopo essere stata completata e messa su uno scaffale dalla Fox nel 2018, grazie ad una campagna di raccolta fondi dal successo strepitoso è riuscita finalmente ad arrivare dopo cinque anni nei cinema nordamericani.
Il film, diretto da Alejandro Monteverde, porta sul grande schermo la storia vera di Tim Ballard (interpretato da Jim Caveziel), ex-agente della Homeland Security e della ICAC (Task force federale contro la pedofilia online) diventato attivista contro il traffico di esseri umani e fondatore della Operation Underground Railroad, organizzazione votata alla lotta contro la pedofilia e il rapimento di minori a livello internazionale.
Nella pellicola seguiremo il percorso di Ballard dai suoi ultimi giorni come federale alla fondazione della O.U.R. e le sue prime operazioni oltre il confine statunitense per smantellare un’organizzazione di trafficanti di bambini operativa nei territori del Sud America. La storia, come si può vedere, ha al centro temi e situazioni estremamente crudi e attuali. Monteverde riesce però a non far scadere il tutto in un banale esercizio documentaristico e, allo stesso tempo, non fare volgare pornografia del dolore. Il pubblico si ritroverà quindi davanti a un thriller dai ritmi lenti, competente, realistico e profondamente umano, lontano dai toni della pellicola d’azione tout court.
L’interpretazione di Caveziel riesce a restituire con grande misura un ritratto convincente e, a tratti, tragico della figura di Ballard: un uomo rimasto segnato dagli orrori di cui è stato testimone nei suoi anni da federale, che porta sulle spalle il peso dei fallimenti nella lotta a un mostro più grande di lui ma che è incapace di gettare la spugna di fronte alla crudeltà di queste realtà terribili. Il resto del cast principale non può fare a meno di orbitare attorno alla sua figura, risultando un supporto eccezionale al suo percorso nel dipanarsi della storia.
In sostanza un film girato con grande competenza, lontano da sensazionalismi o esagerazioni. Probabilmente non un capolavoro, ma in questi tempi di magra possiamo rendere grazie che ci siano ancora pellicole girate con criterio. Ci si chiederà quindi, a questo punto: dov’è esattamente lo scandalo? A quanto pare, secondo i media mainstream e la critica progressista americana, il film sarebbe una pericolosa introduzione a ideologie e teorie complottiste.
Alcuni dei nomi dietro alla produzione del film come il santone Tony Robbins e la presenza nel cast di Jim Caveziel (noto per la sua stretta adesione al cattolicesimo e per le sue idee conservatrici) e le tematiche trattate sarebbero chiari segnali di come la pellicola sia in realtà un messaggio di supporto alle frange più estremiste dell’ala conservatrice del dibattito pubblico americano, riferendosi ai supporter di movimenti come QAnon, particolarmente interessati al tema del traffico di esseri umani e al suo collegamento con la politica e le élite internazionali.
Chiarita l’inutilità di ribadire come l’appropriazione ideologica di queste tematiche sia di per sé una cosa disgustosa, affrontiamo finalmente l’elefante nella stanza: la pellicola ha qualche tipo di affiliazione politica o ideologica evidente? La risposta è un tranquillissimo “no” e il suo successo nei botteghini statunitensi è un chiaro segnale dell’esatto contrario: i temi trattati, per quanto pesanti, toccano corde che esulano dalle ideologie e dalle polarizzazioni e gli spettatori non sono interessati alle strumentalizzazioni politiche del giorno o allo scandalo, ma all’oggetto film e ai suoi contenuti.
Il pubblico vuole semplicemente tornare a essere spettatore di storie, testimone e conoscitore dei lati più brillanti e più oscuri dell’umanità e non vi è ideologia politica (da ambo le parti) che abbia il monopolio su questo.
Attendiamo quindi con impazienza l’annuncio di una data d’uscita italiana che al momento rimane, secondo fonti ufficiose, un generico autunno 2023.
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