“State a casa!”. Dalle Alpi alla Sicilia è ormai un coro. Autoctoni contro i turisti che osano lamentarsi per prezzi assurdi, servizi pessimi, pulizia inesistente, iniziative assenti o di infimo livello. Pubblichi sui social la foto di un sentiero di montagna trascurato e pieno di ortiche o di buse delle vacche? “Se non ti va bene, stai a casa”. Pubbichi la foto di uno scontrino esagerato per una cena pessima? “Se non ti puoi permettere il ristorante, stai a casa a mangiare mortadella”.
Non importa la latitudine, il paesaggio, la notorietà del luogo. Tu, turista, devi limitarti a pagare ed a tacere. Se no, resta a casa. Da un lato riemerge la scarsa propensione al turismo di operatori improvvisati e di indigeni infastiditi dalla presenza di vacanzieri invasori. È casa nostra, facciamo quel che vogliamo. Se ci va ti spenniamo e se non sei contento stai a casa o vai altrove.
Dall’altro lato, però, emergono gli economisti con paraocchi e finta coscienza ambientalista. I gretini del turismo. “Che turismo vogliamo? Quello dei record o quello sostenibile?”. Ovvia la risposta dei bobo politicamente corretti: turismo sostenibile. Dunque di qualità, dunque costoso. In modo che i numeri ridotti delle presenze garantiscano i medesimi introiti, se non maggiori.
Tradotto dal radical chic significa: tu, proletario o piccolo e medio borghese che lavori tutto l’anno sognando le meritate vacanze, in ferie non ci devi più andare. Stai a casa. Perché non puoi permetterti i prezzi di Cortina e Porto Cervo, ma neppure quelli del Salento o di Courmayeur. Se per te 18 euro per una pizza sono troppi, devi restare a soffocare in città, mangiando panini chiuso in casa.
Tra i diritti civili – compreso il diritto all’eleganza proclamato da Soumahoro – non rientra il diritto alla vacanza. Forse è diventato un diritto sociale e, come tale, ignorato dalla gauche armocromata e dalla destra fluida e turbocapitalista.
Però tutti questi economisti gretini o cognati miracolati ignorano un piccolo particolare. E lo ignorano anche tutti i geniali operatori turistici improvvisati, con spirito da avvoltoio: il ceto abbiente italiano è numericamente ridotto. Ed anche aggiungendo gli stranieri in arrivo da Paesi dove si guadagna più che in Italia, non si raggiungono numeri di presenze tali da garantire l’arricchimento di hotel, ristoranti, stabilimenti balneari, gelaterie in tutta Italia.
Le vacanze mordi e fuggi, con seconde case aperte solo nei fine settimana e cibo portato dalla città, non permettono di mantenere tutte le strutture create per un turismo di massa.
Ma, soprattutto, le decine di milioni di italiani che, secondo gretini e cognati miracolati, non potranno e non dovranno più andare in vacanza, come reagiranno?