Il grande Umberto Eco disse: “Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa”. Torino è stata la prima capitale d’Italia e rimane tutt’oggi una delle principali città italiane. Qui storia, cultura, turismo, arte e persino esoterismo si incontrano a formare uno dei principali agglomerati urbani del Bel Paese. Amministrarla però non è facile e la città oggi ha diversi problemi legati soprattutto all’inquinamento atmosferico e alla perdita di grandi eventi. Ecco perché la figura del primo cittadino è fondamentale, proviamo a ripercorrere la storia dei sindaci di Torino fino all’ultima arrivata Chiara Appendino.

La storia dei primi sindaci di Torino
Possiamo iniziare a parlare di sindaci dall’anno 1562. Prima di questa data infatti, in un atto ufficiale dell’anno 827 un tal Ogheriano e un tal Antelmo Scabini assistettero al «placito» tenuto dal Messo imperiale Bosone all’interno del quale si parlava ancora di “consoli”, termine di chiara derivazione romana. A seguito della pace di Cateau-Cambresis del 1559, Emanuele Filiberto riottenne Torino e il Piemonte come ricompensa per aver combattuto con la Spagna contro la Francia.
Deciso a modernizzare ed efficientare i propri territori, il duca di Savoia diede una veste più moderna all’assetto organizzativo della città. Accentra quindi la gestione amministrativa su un decurionato basato sulla figura dei sindaci e li supporta con sessantadue decurioni eletti, costituenti il Consiglio Generale. Di questi, 24 formano il Consiglio ristretto che poi eleggerà i primi cittadini. Dal 1564, con Paolo Nicolò, Lorenzo Nomis e Bernardino Ranzo, ogni anno, fino al 1800, vennero scelti dai due ai quattro membri tra gli aristocratici della società per ricoprire la carica di primo cittadino. Poco per volta non solo aristocratici ricoprirono la carica: nel 1569 diventa sindaco Agostino Meschiatis, mercante di panno e nel 1618 Giovanni Francesco Cuneo, di professione fondachiere.
Le dominazioni francesi
Nel 1796, a seguito dell’armistizio di Cherasco, arriva la prima dominazione francese degli Stati Sabaudi. I conquistatori sostituiscono al Decurionato una Municipalità e trasformano il territorio piemontese in un prolungamento dell’Impero. Sono anni turbolenti per i territori dei Savoia e dopo un breve ritorno della monarchia nel 1799, a seguito della sconfitta francese per mano delle truppe austro russe, nel 1800 il Piemonte finisce nuovamente nelle mani di Napoleone fino al Congresso di Vienna nel 1814. Il potere amministrativo ed esecutivo ricomincia a parlare francese: scompaiono i sindaci e nel 1801 Ignazio Laugier (1801-1805) diventa maire seguito subito dopo da Giovanni Negro (1806-1814). Nominati da Napoleone, il primo durò in carica 4 anni, il secondo addirittura 8. È solo un passaggio però, perché subito dopo l’elezione torna su base annuale fino al 1848.
Lo Statuto Albertino e il voto popolare
Il 4 marzo del 1848 entra in vigore in tutto il Regno di Sardegna lo Statuto Albertino, documento di stampo costituzionale flessibile. Poco dopo è il turno della legge elettorale, emanata da Re Carlo Alberto il 17 marzo 1848. Questa prevede che ad esercitare il diritto di voto siano solo i maschi di età superiore ai 25 anni, che sappiano leggere e scrivere e che paghino al Regno un tributo di 40 lire. Il sindaco adesso viene scelto tramite un meccanismo che combina il principio elettivo con quello di nomina regia. Un elettorato ristretto vota diversi consiglieri e il Re, tramite decreto reale, designa l’unico sindaco. Il primo a essere incaricato nel nuovo ordinamento è Luigi De Margherita accademico, avvocato e politico liberale che ricoprirà l’incarico dal 31 dicembre 1848 fino al 7 aprile 1849. È di fatto il primo incaricato eletto dal popolo di Torino.
Lo seguono il magistrato Carlo Pinchia (1849-1850) e i politici Giorgio Bellono (1850-1852), Giovanni Notta, il terzo più duraturo nella storia dei sindaci di Torino, (1853-1860) e Augusto Nomis di Cossilla (1860-1861). Parallelamente, ad imitazione del modello francese, trova il suo primo inserimento nell’organizzazione amministrativa il Consiglio Comunale.
Degno di essere ricordato è il mandato di Giovanni Notta, avvocato e politico. Durante il suo incarico, iniziato nel 1853 e prolungato con due decreti reali nel 1856 e nel 1859, ha dovuto fronteggiare una serie di eventi drammatici come la carestia dei cereali del 1853 e l’epidemia di colera del 1855-56, la quale provocò 1402 decessi.
Unificazione e Regno d’Italia
Il nuovo regno d’Italia venne proclamato il 17 marzo 1861 a seguito della seconda guerra d’indipendenza. È Emanuele Luserna di Rorà il primo sindaco di Torino all’indomani dell’unificazione nazionale. Durante il suo mandato, dal 1862 al 1865, Torino perse lo status di capitale d’Italia in favore di Firenze. Fu un duro smacco per il capoluogo piemontese che, dopo la decisione, perse 32.000 dei 124.000 abitanti e le proteste in Piazza San Carlo vennero represse nel sangue (52 morti). A seguito di questo evento, il sindaco rifiutò l’indennizzo offerto dal governo italiano dichiarando:
“Torino non è in vendita”.
Per ridare lo slancio e il prestigio danneggiati, decise di concentrare gli sforzi della città in un intenso programma di industrializzazione (poi seguito dai suoi successori) che contribuì a portare Torino all’avanguardia dell’industria italiana.
Degno di nota è il mandato di Felice Rignon che ricoprì la carica la prima volta dal 20 novembre 1870 al 31 dicembre 1877 e nuovamente per periodi più brevi tra il 1895 e il 1898 per un totale di 10 anni. Ad oggi è il sindaco più longevo della storia torinese ed è ricordato anche per le opere filantropiche. Ha infatti donato alla città un fondo, in via Massena, su cui il comune ha costruito nel 1890 la scuola elementare che tuttora porta il suo nome e nel 1912 lo storico parco Rignon di corso Orbassano.
Nuova legge elettorale e suffragio universale maschile
Con la legge n. 999/1882 si ammisero all’elettorato tutti i cittadini maggiorenni che avessero superato l’esame del corso elementare obbligatorio oppure pagassero un contributo annuo di lire 19,80; in tal modo si realizzò un cospicuo allargamento del corpo elettorale del paese che passò da circa 628.000 ad oltre 2.000.000 di elettori. Fu certamente un passo avanti ma bisognerà aspettare poco più di un quarto di secolo per il suffragio universale maschile che fu infine introdotto dal governo Giolitti con la legge del 30 giugno 1912, n. 666. La legge estese l’elettorato attivo a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione. Il corpo elettorale nazionale passò da 3.300.000 a 8.443.205, di cui 2 500 000 analfabeti, pari al 23,2% della popolazione.
La storia dei sindaci di Torino sotto il fascismo
Benito Mussolini sale al potere il 31 ottobre del 1922. L’avvento del fascismo segna la fine del consiglio comunale e il ritorno della nomina regia dell’autorità municipale. In quegli anni il sindaco della città era Riccardo Cattaneo, (il cui incarico durò dal 1920 al 1923), avvocato e accademico italiano. Come sindaco si adoperò per risanare il bilancio comunale e per costruire alcune opere pubbliche. Tra queste spiccano l’acquedotto del Pian della Mussa e la fontana di piazza Solferino. Si deve a lui l’unificazione del servizio tranviario cittadino, affidato all’Azienda tranvie municipali, antenata dell’attuale GTT.
Gli sconvolgimenti fascisti però non lasciarono immune neanche la sua amministrazione. Gli ultimi anni della giunta Cattaneo subirono l’offensiva dello squadrismo: nel 1922, durante la strage di Torino, fu assassinato il consigliere comunale comunista Carlo Berruti. In seguito i consiglieri socialisti diedero le dimissioni e la giunta decadde nell’estate del 1923.
I commissari e i podestà
A seguito della riforma della legge sul funzionamento degli enti locali, ressero il comune una lunga serie di commissari e podestà di nomina governativa che sostituirono i consigli comunali e i sindaci. Le cosiddette leggi fascistissime (la l. 237/1926 e il r.d. 1919/1926) soppressero gli organi elettivi. Tra le figure di sindaco, commissario e podestà la differenza era solo di tipo nominale: il termine podestà (dal latino potestas con il significato di potere, autorità) derivava dalla tradizione romana che il fascismo soleva spesso richiamare ma la sostanza non cambiava. Sia i podestà che i commissari non erano altro che sindaci con indosso la camicia nera. Il primo commissario fu Lorenzo La Via di Sant’Agrippina (1925-1926), l’ultimo podestà fu Michele Fassio (1944-1945). Il 26 aprile 1945 i vigili urbani che nel frattempo erano passati agli ordini del CNL lo arrestarono mentre si recava in Municipio.
Il dopoguerra: la Repubblica e la Costituzione
L’1 gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana. L’art. 5 della Costituzione recita: “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. L’art. 128 (abrogato dalla riforma del 2001) recitava: «Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da legge generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni». L’art. 48 sancisce finalmente il suffragio universale: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, e i principi del voto: “Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” Il primo sindaco democraticamente eletto della storia repubblicana è Celeste Negarville del Partito Comunista Italiano. Giornalista e politico antifascista, rimase in carica dal 17 dicembre 1946 al 16 aprile 1948. In forza del nuovo assetto ordinamentale (riorganizzato con la legge n. 81/1951) il consiglio comunale eleggeva i sindaci.
Lo scettro di sindaco più duraturo della storia della Repubblica appartiene ad Amedeo Peyron, rimasto in carica dal 1951 al 1962. Federalista convinto, nei suoi due mandati cercò di rinnovare le strutture della città in chiave europea. Inaugurò diverse opere pubbliche, tra le quali l’aeroporto di Torino Caselle e l’ospedale Martini nuovo.
1951-1993: presenza femminile nella storia dei sindaci di Torino
Tra i 14 sindaci eletti dal ’51 al ’93 solo due sono state donne.
La prima storica sindaca del capoluogo piemontese è la socialista Maria Magnani Noya (del Partito Socialista Italiano, in carica dal luglio 1987 al luglio 1990). Laureata in giurisprudenza, svolse per anni la professione di avvocato sino alla sua scomparsa avvenuta nel 2011. Partecipò come difensore d’ufficio al primo processo alle Brigate Rosse svoltosi a Torino, ricevendo per questo minacce di morte. Si è distinta per il suo attivismo nelle battaglie sull’introduzione di divorzio e aborto nella legislazione italiana. La seconda in ordine cronologico è la repubblicana Giovanna Cattaneo Incisa (Partito Repubblicano Italiano, in carica per un breve periodo dal febbraio al dicembre del 1992).
Riforma del 1993 ed elezione diretta: i giorni nostri
La legge n. 81/1993 cambia il sistema elettorale (attualmente ancora in vigore): la nuova legge prevede per i comuni con più di quindicimila abitanti l’elezione diretta del sindaco contestualmente all’elezione del consiglio comunale. I quattro sindaci eletti con questo schema sono: Valentino Castellani (1993-2001), Sergio Chiamparino (2001-2011), Piero Fassino (2011-2016) e Chiara Appendino (2016-in carica). Sergio Chiamparino è attualmente il secondo sindaco più duraturo nella storia repubblicana.
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