“Papà, hai visto quello?” mi indica un accattone, uno di quelli che chiamano “barbanera” al lato di un incrocio. Sporco, vestito di una specie di sacco bisunto. Scalzo, con solo un paio di sandali.. Non certo un bello spettacolo….
Mi stringo nelle spalle… Certo che l’ho visto. E, mi verrebbe da aggiungere, se non studi è così che finirai… Mi verrebbe, come avrebbero fatto mio padre, o mio nonno…ma lascio perdere. Se non studi, dovrei dire, puoi rischiare di diventare Ministro degli Esteri…
“Ma cos’è? Un… clochard?”
Toh, mio figlio ha imparato una parola nuova.
E che ne sai tu dei clochard?
Ora tocca a lui stringersi nelle spalle. E corrucciare il volto.
“Niente. Solo una cosa che ha letto in classe quella di italiano…”
Il discorso finisce qui. Mio figlio già cambia argomento. Però…però a me resta in testa questa parola. Clochard. Un etimo francese. Qualcuno, in italiano, lo traduce “barbone”. Ma ha un significato distorto. Spregiativo. La vera traduzione sarebbe piuttosto, “senza dimora”. Meglio ancora “vagabondo”. Che assume ben altro significato.
In fondo il vagabondo è ciò che resta, oggi, di quella che Bruce Chatwin chiama “L’alternativa nomade”. Ovvero uno stile di vita non fondato sul possesso. E sulla paura di perdere ciò che si possiede. La terra, la casa, il denaro. Il futuro. Anche la donna. Così come il bestiame. Per chi fonda tutto sul possedere, ogni cosa si equivale, in fondo. I sentimenti sono solo, e sempre più, superficiali. Sovrastruttura, direbbe Marx. Che, in qualche misura, comprese bene dove si avviava la nostra società.
Per Chatwin un’alternativa c’era. O, per lo meno, c’era stata. Il nomade. Colui che non possiede se non i suoi abiti. Il suo cavallo. Che trova di che vivere sul momento. Che non programma il futuro. E che non è prigioniero delle convenzioni sociali. L’alternativa della libertà. Che non è un sistema istituzionale. Una costituzione.. Leggi e concessioni. È l’assenza di tutto questo.
Certo, la visione di Chatwin è romantica. Il suo Nomade non è realtà storica. Ma un paradigma. Un archetipo. Del passato. O meglio di un passato alternativo. Che avrebbe potuto essere, ma non è stato.
La nostra società è, sempre più, fondata sul controllo. Della vita, delle attività. Ormai persino del corpo delle persone. Persone, ovvero maschere. Comuni e uniformi. Negazione di ogni individualità. Di ogni possibilità di scelta.
L’anti-utopia dell’alveare. Radicalmente anti-umana ci dice Ernst Jünger. . Perché l’uomo è un mammifero, non un insetto. E la nostra condizione naturale è o il branco, agonico, dei lupi. O la solitudine dell’orso.
In questa società che chiude ogni spazio, che rende tutto asfittico, claustrofobico, la libertà assume il volto, o meglio l’ archetipo del clochard.
Certo, non quello che chiede l’elemosina all’angolo della via. Un clochard…ideale. Una “forma”, che sfugge al grigiore uniforme che ci circonda. L’uomo che sceglie la libertà. Che nega, e si nega, il possesso. La programmazione. Che coglie l’attimo. E lo vive con intensità. Che agisce di propria volontà morale. Non perché costretto. Che ama senza secondi fini. Che si chiama fuori dal gioco delle finzioni. Dalla grande pupazzata. Che vive nella megalopoli. Ma nei suoi sotterranei. In luoghi che rappresentano l’altrove. Uscite dal mondo, come dice Elemire Zolla.
Vi è un film, che ne parla. Un film ben poco compreso. “La leggenda del re pescatore” con uno straordinario Robin Williams. Un genio attoriale di cui, oggi, si sente la mancanza.
Lui è un clochard. Un senza tetto. Che salva la vita ad un uomo di successo (Jeff Bridges) in crisi morale e finanziaria. Diventano, incredibilmente, amici. E Jeff scopre che, dietro la città che tutto divora, vi è un altro mondo. Il mondo dei folli, dei clochard, senza dimora e senza vincoli. Ma senza ipocrisia.
E comprende che Robin non è pazzo quando afferma di essere il leggendario Re Pescatore della saga Arthuriana. E va, con lui, alla ricerca della Donna. E del Santo Graal. Che non è una coppa magica in un castello nel deserto. Non siamo nel ciclo di Indiana Jones. È un normale, vecchio trofeo sportivo nel salotto di un milionario depresso. E sul punto di togliersi la vita…
Conquistano il Graal. Ed il film si chiude con i due, Robin e Jeff, stesi nudi su un prato di Central Park. Che contemplano il mutare delle nubi in cielo.
Assurdo… Come dite? È un film, solo un film… Quel clochard di cui parli non esiste…
Può darsi, anzi è certo, che abbiate ragione. Però, vedete, vi sono molti livelli di realtà. E noi siamo prigionieri di una grotta, ove vediamo solo l’ombra di una realtà superiore. E questo è Platone. L’ombra delle Idee. Per dirla con un altro grande visionario. Giordano Bruno.
E in questa realtà “altra” vi sono figure, forme, archetipi che rappresentano il nostro tempo. E soprattutto la chiave per fuggire dalla prigione mentale in cui ci siamo lasciati serrare..
Jünger individuò le figure emblematiche del ‘900. L’ Arbeiter, il Milite, il Ribelle… Fosse qui, oggi…
Già, fosse qui…