Bob Saingolani, ora Roberto Cingolani, a dicembre e dunque poco prima di entrare nel governo di Sua Divinità come ministro per la transizione ecologica, era intervenuto ad un convegno per illustrare la sua visione della ricerca e dell’economia. Un intervento pubblicato ora dal Corriere. Al netto della scarsa propensione per l’obsoleta lingua italiana – ormai se non spari qualche termine inglese in ogni frase non sei nessuno – il futuro ministro aveva chiarito alcuni punti fermi che dovrebbero preoccupare gli adoratori del nuovo esecutivo.

Un passaggio, soprattutto: le Pmi italiane non hanno futuro, rappresentano un ostacolo alla crescita, dunque devono sparire. Anche se, bontà sua, Saingolani ammette che non si può fare piazza pulita dall’oggi al domani. Perché, sfortunatamente, l’intera economia italiana è basata sulle Pmi. Dunque servirà tempo, ma la strada è segnata. E la gestione del Covid accelera il processo. Sarà per questo che si fa di tutto e di più per non far terminare la fase di emergenza.
Perché è evidente, anche a chi parla solo italiano, che le mance governative potranno far sopravvivere i piccoli imprenditori e le loro famiglie ma non le piccole imprese. Si sta distruggendo tutto e, probabilmente, è giusto così. Perché i piccoli imprenditori sono in prima linea ad osannare Sua Divinità ed il governo dei Migliori, sono in prima linea ad invitare all’obbedienza nei confronti dei decreti liberticidi, sono in prima linea nel trasformare i propri figli in amebe senza un briciolo di coraggio.
In fila osannanti verso il dirupo da cui si lanceranno festanti. Almeno Saingolani non si è nascosto dietro un dito. Consapevole che le amebe non reagiranno. Ma l’intervento del ministro era tutt’altro che banale. Incentrato sulla mancanza di investimenti, anche nella fase pre Covid, da parte delle Pmi. Il riferimento era all’innovazione tecnologica, alla ricerca. Ma vale per ogni ambito. Innovare o morire. E l’esercito con il braccino corto ha scelto di morire.
Ci sarebbe anche un’alternativa, in un Paese che vive di Pmi. Una grande struttura pubblica di ricerca. Efficiente, efficace, in grado di valorizzare il merito, i giovani, le idee. Un Paese che, ovviamente, non può essere l’Italia. Perché la burocrazia è un ostacolo insormontabile nel raggiungere efficacia ed efficienza, perché il merito è nemico del clientelismo e del familismo, perché i giovani che escono dalle scuole avrebbero bisogno di sedersi sui banchi delle medie inferiori e non intorno ad un tavolo in sala riunioni o al bancone per la ricerca, perché le uniche idee ammesse sono quelle usate e corrette politicamente.
Dunque non se ne fa nulla. E ci si limita ad eliminare le Pmi. Prima nella ristorazione e nel turismo – settori troppo legati a radici, tradizione, territorio – poi in agricoltura, quindi nei servizi e nell’artigianato. Creando milioni di disoccupati a disposizione, per pochi euro, delle multinazionali che occuperanno ogni ambito. Colossi della produzione alimentare, grandi catene turistiche, giganti dei servizi, megaindustrie. E più i piccoli fanno qualità, più danno fastidio perché è meno facile eliminarli.

Sua Divinità lo vuole! E la crociata dei futuri pezzenti è pronta a farsi massacrare.