Si sono spaventati, i media di servizio, per l’incidente nel Canale di Suez. E non per il rallentamento del traffico merci complessivo o per le ipotesi di sabotaggio informatico dei comandi della nave porta container. No, la paura riguarda la spinta di molti Paesi verso un rafforzamento della produzione interna. Se si comincia a frenare la globalizzazione, signora mia, dove andremo a finire?
Certo, i servizievoli commentatori hanno ricordato che i componenti di uno smartphone arrivano da luoghi disparati, che le economie sono interconnesse, che Paesi come l’Italia hanno soprattutto un’industria di trasformazione ed abbisognano di materie prime in arrivo da ogni parte del mondo. Tutto vero, ovviamente. Però il mondo esiste anche al di là delle Alpi e del Mediterraneo.
I chierici del pensiero unico obbligatorio hanno paura soprattutto dei grandi Paesi. Non di quelli dove basta uno Speranza qualunque per bloccare tutta l’economia, far fallire le imprese e vendere agli investitori stranieri. No, il problema sono i Paesi come l’India che, sotto la guida di Modi, vuole sostituire la Cina come grande produttore per tutto il mondo. Riducendo le importazioni, fabbricando tutto ciò che serve e poi, eventualmente, esportarne una parte.

Magari stringendo un accordo con la Gran Bretagna e con l’intero Commonwealth. Una fortissima concorrenza all’Unione europea che, obbedendo agli Usa ed imponendo sanzioni dove ordina il padrone di Washington, rischia di trovarsi isolata ed impoverita.
Anche la Russia, per effetto delle sanzioni volute dagli Stati Uniti ed adottate dall’Ue, ha rafforzato la propria produzione interna, dall’alimentare alle tecnologie innovative. Con la differenza che la politica di Mosca è principalmente difensiva, quella indiana è espansiva. E quella italiana? Inesistente.
Perché l’incidente nel Canale potrebbe modificare le strategie dei commerci, penalizzando ulteriormente la Penisola. È vero che i porti italiani sono riusciti ad intercettare solo una parte dei traffici che passano per Suez. La logistica italiana è un disastro, i collegamenti ferroviari con il resto d’Europa sono ridicoli. Alcuni porti sono inadatti ed in qualche caso il pericolo della criminalità organizzata non entusiasma le grandi compagnie di trasporto marittimo. Però qualcosa arrivava comunque.

Il timore di incidenti, più o meno fortuiti, potrebbe spingere verso un’accelerazione della Via della Seta ferroviaria e, almeno in estate, alla scelta delle rotte polari. Mentre il riscaldamento globale farebbe aumentare il numero dei mesi in cui la rotta a Nord, molto più breve, potrebbe essere utilizzata.