Ma i servi della gleba, gli scudieri, le lavandaie, le tricoteuses non si reincarnano mai? È sufficiente scorrere i social per rendersi conto che i giochini vari assegnano a chiunque un passato da eroe, da cavaliere, da principessa, da regina. Mai che al termine del gioco emerga che l’attuale impiegato del catasto era un semplice stalliere. Mai che la sciampista fosse, in epoca lontana, una sguattera in una taverna sporca e maleodorante.
Macchè. Forse le classi più umili in epoca romana o medievale si sono reincarnate in formiche, in mosche, in topolini o ratti da fogna. E, per ragioni meramente numeriche, è evidente che il gran visir deve essersi reincarnato in almeno 10/15 individui comtemporanei.
Così chi vive un oscuro presente, ostenta sui social il proprio passato nobiliare, di quando sedeva alla Tavola Rotonda a fianco di Lancillotto e Re Artù. Mai che qualcuno si vanti di essere la reincarnazione di un modesto monaco, di un soldato semplice, di un ladruncolo di campagna, di un mendicante scacciato di città in città.
Va bene, è solo un gioco. Ma qual è il senso? Chi pubblica questi risultati su Facebook ci crede davvero? Spera che qualcuno ci creda? E anche se fosse? Vuoi far colpo su qualcuno raccontando che eri il vichingo che ha scoperto l’America? Peccato che ora sei solo un renitente alla vanga che aspetta il reddito di cittadinanza sdraiato sul divano. È bello sognare un passato inesistente, ma forse è preoccupante se si arriva a convincersi che fosse realtà e non solo un giochino un po’ scemo.
Lo stesso vale per le infinite conquiste garantite da giochini analoghi, utili esclusivamente per regalare a Facebook una serie di informazioni private. Salvo, poi, indignarsi perché lo Stato monitora spostamenti ed acquisti. Però se le informazioni personali vengono comunicate per farsi dire di essere grandi conquistatori, allora tutto va bene. L’importante è far sapere al mondo di essere stati cavalieri templari, generali napoleonici, zarine di tutte le Russie.