Il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in ogni conferenza stampa ripete la frase “Nessuno sarà lasciato indietro”. L’intenzione è ribadire la volontà da parte del Governo di aiutare tutti i lavoratori dipendenti e autonomi colpiti, da un punto di vista economico, dall’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Il nuovo decreto includerà anche i lavoratori irregolari, impiegati in “nero”, ossia senza nessun contratto regolare in corso.
È proprio per venire incontro a questa tipologia di lavoratori che, nel decreto rilancio, si fa riferimento al reddito di emergenza. Un bonus che andrebbe ad aiutare tutta una platea di cittadini che non percepiscono il reddito di cittadinanza e che non hanno altre entrate, se non quelle derivanti da lavoro irregolare. Una situazione di emergenza ci porta a non trascurare questi lavoratori invisibili allo Stato e al fisco. Secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Sala, l’Italia ha tre Pil: uno ufficiale di circa 1600 mld di euro, uno sommerso da 540 mld e uno criminale che supera i 250 mld.
L’economia sommersa, quella che equivale a 540 mld, è ovviamente bloccata e nessuno può ignorare che nel corso degli ultimi decenni ha funzionato da ammortizzatore sociale. Il lavoro sommerso ha consentito alle famiglie più povere di integrare le entrate familiari attraverso lavori occasionali. Sicuramente per fronteggiare questa emergenza si devono superare le burocrazie e le lentezze nella distribuzione degli aiuti economici.
Nonostante la quarantena forzata, molti lavoratori, seppure ancora in attesa della cassa integrazione, hanno usufruito di ammortizzatori sociali. Il problema si è posto per tutti coloro che sono impiegati “in nero”, ossia senza un regolare contratto di lavoro in corso. Lavoratori in nero doppiamente danneggiati sia perché non sono più riusciti ad andare a lavorare in questo lungo periodo di lockdown, sia perché il Governo riconosce coperture finanziarie solo a chi è regolarmente assunto.
È soprattutto nel sud Italia che si registrano i più alti tassi di povertà e di economia sommersa. Tra le regioni più in difficoltà ci sono Calabria, Campania e Sicilia. L’emergenza è così grave che il sostegno economico del reddito di cittadinanza rischia di non essere sufficiente. Sono un milione le famiglie che percepiscono il reddito di cittadinanza e più della metà sono del Mezzogiorno. Si trova nel Sud il 60% delle persone che ricevono il sussidio.
In Italia ci sono più di tre milioni di lavoratori irregolari, che rappresentano una fascia di popolazione non in regola dal punto di vista contrattuale, fiscale e contributivo. Una platea di lavoratori per gli economisti difficili da osservare perché ovviamente non se ne trova traccia presso le aziende.
Forse è proprio a questa fascia di lavoratori che il ministro del lavoro, Nunzia Catalfo, ha voluto estendere la possibilità di usufruire del reddito di emergenza. Il lavoro sommerso è una piaga che si cerca di debellare da decenni ma finora non si è riusciti a risolvere il problema in modo adeguato. La dimostrazione è la moltitudine di lavoratori irregolari che ancora ci sono su tutto il territorio italiano, dai braccianti nei campi del Mezzogiorno alle colf e alle badanti. Tanti sono i lavoratori irregolari che accettano un lavoro pur di arrivare alla fine del mese, senza alcuna tutela economica.
Nel momento di un’emergenza drammatica, come quella da coronavirus, non possiamo ignorare chi vive in una situazione di marginalità. Prendersi cura di questi “lavoratori in nero” è il prezzo da pagare per non essere riusciti ad abbattere questa piaga. Parlare di precariato è in un certo senso necessario per poi risalire alla filiera di chi davvero sfrutta schiere di lavoratori non regolarizzati.
È stato molto criticato il ministro del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano, per la sua richiesta di prevedere tutele per chi ha un lavoro in nero. Lo stesso ministro ha precisato che non si vuole legalizzarlo, ma che una società civile, in una situazione di emergenza, deve farsi carico di un’ampia fascia di nuovi poveri.
A Rainews24 è stato proprio Provenzano a dichiarare: “La quota di sommerso che esiste ha riflessi sull’economia reale, per questo abbiamo la necessità di avere misure più universalistiche. Nel DL abbiamo sostenuto i lavoratori, ma tutto questo non copre quella quota che esiste, non possiamo mettere la testa sotto la sabbia. Abbiamo il dovere di offrire alternative, con investimenti creando lavoro buono e con sostegni. Se non lo facciamo noi l’alternativa la offrono altri, la criminalità organizzata, a chi lavora in nero. Anche il sommerso sarà colpito dalla crisi, per evitare che ce lo troviamo dopo dobbiamo offrire un’alternativa”.
È un dibattito sofferto tra chi ritiene che aiutarli sia uno sberleffo alla legalità e chi invece, soprattutto al governo, teme che il problema possa sfociare in rivolte sociali.
La piaga del lavoro nero non esiste solo nel nostro Paese, secondo un indagine il paese europeo con la più alta percentuale di lavoro sommerso è la Grecia, seguita dall’Olanda, Finlandia e Danimarca. I più corretti in termini di impiego sono paesi come la Germania, il Regno Unito e la Spagna.
Bruxelles per aiutare i paesi più colpiti dalla pandemia, come l’Italia, ha creato un fondo da 100 miliardi di euro per preservare i posti di lavoro. Le ultime previsioni parlano di una perdita di 12 milioni di posti di lavoro in Europa. Proprio per queste motivazioni il commissario per il lavoro Nicolas Schmt puntualizza la necessità che si evitino ulteriori perdite di posti di lavoro, attraverso strumenti come Sure, una cassa integrazione europea contro la disoccupazione, garantita da tutti gli Stati membri.
È stata la presidente della commissione europea, Ursula Von der Leyen, a presentare Sure che si appresta ad essere il nuovo strumento per tutelare l’occupazione in Europa e per fare fronte all’emergenza da Covid-19. In passato provvedimenti come Sure hanno mitigato gli effetti come la recessione, hanno mantenuto posti di lavoro e hanno permesso alle aziende di tornare con nuovo vigore sul mercato. Si appresta ad essere uno strumento fondamentale per riavviare velocemente il motore economico europeo.
Un virus che sta mettendo a nudo le grandi questioni in sospeso tollerate da decenni. Stando all’Organizzazione Internazionale del lavoro nel 2020 l’Europa, come ribadito precedentemente, rischia di perdere più di 12 milioni di posti di lavoro a tempo pieno a causa della pandemia innescata dal coronavirus. Tra i settori più a rischio ci sono il commercio, la ristorazione, l’industria manifatturiera, la vendita al dettaglio e l’amministrazione.
In secondo luogo sarà importante la ripresa economica, soprattutto in quei paesi come Italia e Spagna, dove il turismo rappresenta più del 10 percento del Pil, o anche del 20 come il caso della Grecia. Bisogna mantenere sicuramente vive il maggiore numeri di aziende nel settore turismo. Schmt non ignora il fatto che in Europa esista il lavoro sommerso, ma è certo che si tratti di qualcosa che non dovrebbe accadere più. Purtroppo però l’economia sommersa, in alcuni Stati membri, è ancora rilevante. È indubbio che dare a queste persone la possibilità di avere un reddito è assolutamente indispensabile, così come la creazione di posti di lavoro a norma di legge, continuando a lottare contro il lavoro nero che è sicuramente un male per l’economia e la finanza pubblica.