Una musica. Una canzone. Mi sembra country…con forti accenti sonori irlandesi, quasi folk… Non distinguo le parole. Devono cantare in qualche locale qui vicino. Ma la suggestione è che siano all’aperto. Nella piazza del paese. Anche se è una serata piovosa. E comincia a spirare un vento autunnale. Umido. E abbastanza freddo tutto sommato.
È suono di chitarre. Voci. E, soprattutto tamburi. Che, alla fine, danno il ritmo. E tendono a coprire tutto il resto. Suggestione dei tamburi che suonano nella notte. In una notte già gravida di pioggia. Con le montagne che si intuiscono avvolte da nubi basse. Tanto che mio figlio, abituato alla pianura, mi ha chiesto:
“ma c’è nebbia, papà?”
Ho scosso il capo.
No, sono nuvole. Qui le nuvole possono scendere così basse che hai l’impressione di poterle toccare.
Mi ha guardato perplesso…e si è messo ad ascoltare i suoni dei tamburi…
Un tamburo che suona nella notte evoca emozioni…particolari. Forse ataviche. Perché, in fondo, deve essere stato uno dei primi strumenti creati dall’uomo. Forse il primo in assoluto. La pelle di un animale tesa sopra un tronco cavo di legno. Una rozza mazza che lo percuote. Che scandisce il ritmo. Ritmo di una danza rituale, probabilmente. Che diventava sempre più frenetica, con l’accelerazione delle percussioni. Sino a portare ad una sorta di estasi. Ancora oggi, presso alcuni popoli della Siberia, o nel segreto delle riserve “indiane”, gli sciamani – uomini della medicina, stregoni…chiamateli come volete – utilizzano questa tecnica per uscire dal corpo. E volare nel mondo degli Spiriti.
Mi sembra che ne parli ampiamente anche Joseph Campbell. In quello straordinario libriccino che è “Il volo dell’anitra selvatica”. Lo lessi che ero poco più che un ragazzino. E mi colpì profondamente.
Era uno junghiano, Campbell. Ma anomalo. Forse per il suo sangue irlandese, che gli dava una potente visione del mito. George Lucas ha dichiarato di avere tratto dalla sua opera principale, “I mille volti dell’eroe”, l’idea dei Cavalieri Jedi nella saga di Guerre Stellari.
Comunque, Campbell, da studente, aveva vagabondato tra California e America Centrale. Anticipando i poeti della Beat Generation. Ed era restato profondamente colpito dai rituali dei nativi americani…
Sì. Più ci penso, più mi convinco che proprio in quel libro ho sentito, per la prima volta, parlare del tamburo degli sciamani, che risuona nella notte.
Poi, ne ho letto anche altrove. E soprattutto, ricordo che se ne parlò a Venezia. Durante una cena di molti anni fa. Una cena ben strana, a dire il vero.
L’aveva organizzata Bubi. Era un antropologo culturale. Che si era innamorato del suo oggetto di studio. Ovvero lo sciamanesemo. Siberiano e americano. Un po’ come Castaneda: era partito da occidentale che voleva studiare i riti dei “selvaggi”. E si era ritrovato ad essere loro discepolo.
Quella sera era a Venezia uno sciamano Sioux. O meglio, appartenete alla tribù dei Lakota. Sioux è un termine spregiativo. Utilizzato dai nemici delle genti Dakota, Nakota, Lakota…
Non pensate a uno con le penne in testa, come “er servaggio” del sonetto di Pascarella sulla scoperta dell’America. Era laureato a Berkley. Poi era tornato nella riserva. E ora girava per il mondo, tenendo conferenze sulla sua cultura. Perché qualcosa restasse nella memoria degli uomini. Lui era, tragicamente, cosciente di essere uno degli ultimi. Un reperto archeologico vivente.
Durante la cena, ci descrisse i riti della, cosiddetta, Camera Essudatoria. Una capanna trasformata in sauna. Vapore incandescente. Danze ritmate. E, soprattutto, il suono, ossessivo, dei tamburi. Una tecnica dell’estasi. Che può portare alla sincope. E anche alla morte, mi disse. Ma andava bene. Voleva dire che il tuo spirito, uscito dal corpo, si trovava meglio nel mondo degli Spiriti. E non voleva più tornare in questo.
Mi invitò ad andare a trovarlo, nella riserva. E…a provare. Naturalmente non lo feci. Ma, sul fondo, me ne resta il rimpianto.
Il suono dei tamburi nella notte è inquietante. Come in un racconto di Lovecraft. Che, non casualmente, ne parla spesso. E ne evoca la suggestione. Carica di un terrore senza nome.
Eppure, per qualcuno, è anche un…richiamo. Potente. Che gli ridesta qualcosa nei recessi del sangue. Eco di ciò che eravamo. Molto, moltissimo tempo fa. In un tempo di cui la storia non serba memoria alcuna. E neppure la memoria cosciente…
Comincia a gocciolare. Dopo tante minacce, il cielo si sta per sciogliere in pioggia. Eppure i tamburi suonano ancora… Sono lento a rientrare. Me ne sto qui. Fumo la pipa e ascolto ancora. Sono poche gocce ancora. E io, in fondo, mica sono idrosolubile…
Chissà perché stasera mi è tornato in mente Bubi… quasi sicuramente solo per i tamburi. Mi piaceva. Ma non eravamo veramente amici. Ci siamo frequentati poco…e poi lui se ne è andato presto. Troppo giovane ancora.
Forse, ha seguito il suono di un tamburo. E si è trovato in un altrove dal quale non è più voluto ritornare…