Complesso, approfondito, indiscutibilmente eccellente l’incontro di Roma del 16 gennaio presso la “Biblioteca del Senato” sul problema islamista e l’invasione dell’Europa: specificamente sulla radicalizzazione in Italia.
La linea di discussione, condivisa da tutti i relatori, è che la questione del fondamentalismo islamico – che si concretizza nell’aspetto terroristico dei Fratelli musulmani, nel supporto finanziario del Qatar e nella condivisione politica della Turchia – necessita di analisi comparate e di approcci sistemici.
C’è il paradigma economico che applica una metodologia di infiltrazione sottile e seduttiva, ma estremamente invasiva e strangolante per la libertà dei singoli Stati interessati. L’acquisto di immobili, di marchi industriali, di attività sportive e di altri valori procurabili commercialmente, implica una implicita cessione della libertà e delle coscienze.
C’è quello dell’informazione e della propaganda il quale, attraverso l’ignoranza diffusa e la voluta confusione dottrinaria, crea una cortina fumogena di retorica e falsificazione, non permettendo di comprendere le figure dei propri nemici e dei propri possibili alleati.
C’è quello del premeditato oscuramento della violenza più o meno strisciante che il radicalismo islamico sta conducendo nei diversi stati europei: una modalità artificiosa per non parlare di censura dietro la formula melliflua di “evitare allarme sociale”. Un modo suicida per dire che le cose stanno messe malissimo, ma è meglio evitare di metterle in luce. A questo proposito, Souad Sbai è stata chiarissima quando ha affermato che i Fratelli musulmani stanno nelle nostre istituzioni, nell’informazione e nelle stesse stanze della politica.
C’è un filo diretto tra i Fratelli musulmani, e i loro sodali estremisti, con i nemici interni delle nazioni, che Pascal Bruckner condensa nel termine di Club Radicale. Questo è formato da quegli intellettuali della sedizione che da quasi cent’anni tramano contro la nostra civiltà. È il nucleo di quella sinistra irriducibile legata all’odio verso il proprio retaggio storico e culturale, al rifiuto dell’identità e dell’orgoglio nazionale, alla seduzione cieca e disfattista del terzomondismo, all’apologia della diserzione e del tradimento.
Quindi, questa invasione – di cui la radicalizzazione è la pratica più evidente e pericolosa – da un lato è esplicita in alcune vere e proprie dichiarazioni di guerra nei confronti della nostra civiltà, dall’altro è favorita da subdoli, ma altrettanto pericolosi nemici interni.
Due fronti di aggressione contemporanei che richiedono strategie diverse, sinergiche e complementari per affrontarli.
Il problema fondamentale da risolvere è quel meccanismo psicologico che si chiama negazione. Come avviene spesso nelle malattie terminale o in gravi disturbi psichici, il paziente nega la verità per non soccombere all’angoscia della morte o alla distruzione dell’identità, creandosi inconsciamente delle realtà virtuali e accomodanti.
È questo che si evidenzia di fronte al pericolo islamista, sia in Italia che nei popoli europei. Il rifiuto di vedere e di prendere atto del male in corso d’opera.
Aprire gli occhi significa già un passo avanti verso la comprensione, e se anche fosse troppo tardi per una soluzione positiva, quanto meno si acquisterebbe la dignità di guardare in faccia il proprio destino.