Un bubbolio lontano…
Mi viene, spontaneamente, in mente questo verso del Pascoli. Il Tuono. Ed è proprio questo il suono che odo, in lontananza. Un bubbolio. Che è parola inesistente nel vocabolario. O meglio, lo era sino al poeta di San Mauro. Che quanto a nuovi conii se la batteva bene col suo amico D’annunzio. Con la differenza che il pescarese creava parole affascinanti, dalle sonorità auliche, classiche. Mentre il Pascoli preferiva un tono, in apparenza, più dimesso. Il gioco fonosimbolico. Le voci onomatopeiche… I Futuristi, di lì a poco, impararono da lui. Portando questa tecnica agli estremi. Al parossismo, come dimostra “Il bombardamento di Adrianopoli” di FTM…
Comunque, avverto in lontananza questo…bubbolio. E vedo il cielo, da azzurro, farsi d’improvviso cupo. Denso di nubi. Scure. Grevi di pioggia. Poi… Le prime gocce. Grosse, calde…
Era ora. L’afa si era fatta sempre più opprimente, di giorno in giorno. Il cielo di colore ocra, per il soffio rovente di uno Scirocco carico di sabbie desertiche. Ne soffrivano gli uomini. E ne soffrivano gli animali. I miei gatti hanno trascorso giorni rannicchiati nella fioriera del terrazzo. In ombra. Alla ricerca di refrigerio. E li sentivo muoversi solo di notte. Con passo felpato, per cercare acqua e cibo nelle ciotole. Non per la prima volta, ho notato come in loro prevalga l’atavica natura del felino. Predatore notturno, che di giorno si cela per risparmiare le forze. Noi uomini, al contrario, anche in queste occasioni dimostriamo solo quanto ci siamo alienati dalle nostre origini. Pretendendo di vivere sempre allo stesso modo, con gli stessi ritmi sia col gelo dell’inverno, che nella calura estiva. Consideriamo questo progresso…
Uscendo presto, per andare a fare scrutini, ho incontrato il mio amico S.
Aveva portato i suoi due cani a sgambare un poco sul pratone di fronte a casa. Entrambi i cani avevano la lingua fuori. Accaldati e assetati, cercavano di cogliere l’umidità di cui era pregna l’aria.
“Pioverà” mi ha detto S. guardando il cielo che incupiva lentamente da Nord. “E ci vuole. Il prato è tutto secco, manco si fosse a fine agosto. E si sente un effluvio di profumi, essenze…erba medica, tarassaco, trifoglio…le piante bruciate dal sole di questi giorni…”
Poi, appunto, le prime gocce. E subito il tuono. Non più in lontananza, ma vicino, sempre più vicino. Incombente e potente
E la pioggia è venuta giù a scrosci violenti. In pochi attimi, tutto è mutato. Tutte le piante, ogni foglia, ogni fiore, tutta la, rada, vegetazione urbana è diventata madida di stille. I tronchi degli alberi del giardino grondanti. E l’acqua ha cominciato a ruscellare per le strade, trasformandole in canali, come se fossimo fra torrenti di montagna, e non in città. Non a Roma.
Le persone fuggivano, imprecando contro le amministrazioni comunali che non fanno alcuna manutenzione ai tombini. Alcune macchine si sono dovute fermare. I motori in panne, in mezzo a improvvisi e inattesi laghi. Gli uomini, noi uomini intendo, sembriamo sempre infastiditi dalla pioggia. Ci lamentiamo dell’afa, ma poi, quando arriva il temporale, ci comportiamo come se fosse una minaccia. Come se fossimo fatti di un qualche materiale sintetico, che non si può bagnare. Come se fossimo idrosolubili…
Invece, camminare sotto la pioggia estiva scrosciante, inzupparsi d’acqua è…bello. Liberatorio, dopo tanto caldo e tanto sudore. Una sensazione di piacere. Fisico. Intenso. Puro. Come quella espressa da D’annunzio (ancora lui) ne la celeberrima “Pioggia nel Pineto”. Tanto letta e commentata. E ben poco compresa. Perché è testo non di concetti e parole, ma di sensazioni. Visive, uditive. Olfattive. Tattili. Pura emozione fisica. Senza altra implicazione. E qui potremmo parlare di panismo. Ma sarebbe voler fare filosofia. E il Gran Dio Pan precede ogni elucubrazione razionale..
Le nubi, la pioggia. Nella poesia cinese classica è una metafora ricorrente. Una metafora erotica. Rappresenta l’esplosione del piacere, liberatorio, totalizzante. Dopo la lunga tensione, l’ardere, che ha consumato, e stremato, gli amanti. E che infine diventa violento e improvviso refrigerio.
Come quello delle piante, che sembrano rinascere sotto questi scrosci di pioggia temporalesca…
Se leggete il Tai Ping Mei, il classico proibito della tradizione cinese, comprendete come l’eros venga visto senza morbosità alcuna. Come espressione della Natura e della sua, profonda, armonia.
Le nubi e la pioggia, appunto.
Beh, me la sono presa comoda. E sono rientrato a casa con calma. Lasciando che la pioggia mi infradiciasse i vestiti. Mi scorresse lungo la schiena. I capelli grondanti. Non parliamo delle scarpe. Ci sguazzavo dentro.
Mio figlio mi ha guardato strano.
“Sei tutto fracico” ha detto nel suo gergo coatto “Mo’ finisce che t’ammali…”
Non mi sono mai sentito così bene. Ho risposto.