Sono assorta nei miei pensieri e nelle mie stanchezze mentre il treno trotta verso casa.
E’ uno di quei regionali che si ferma ad ogni stazione.
Dopo un anno ormai le conto mentalmente. E raramente sbaglio.
Oggi sì. La notte scorsa ho fatto sogni particolari e sono immersa in nuvole di pensieri.
Senza accorgermi mi alzo prima del tempo, alla penultima fermata.
Me ne rendo conto all’arrivo, quando tre persone trafelate scendono in gran velocità.
Rimango a guardarle quando la luce rossa si accende e la porta si apre, lasciando entrare l’aria fresca di Marzo.
Poco male.
Tra cinque minuti c’è la mia di fermata.
Una Signora.
Un po’ appesantita e con una valigia forse più pesante di lei.
Non riesce a salire.
Cappottino rosso e valigia rossa ottanta di peso per un metro di altezza.
“Posso darle una mano?” “Grazie” e le prendo la valigia che sembra piombo anche per me che sono famosa per saper sollevare dei tir.
Però vedo che non riesce nemmeno a salire il primo gradino mentre i minuti passano e il treno sta per ripartire.
Ripeto “Le posso dare una mano?” e mentre dico questa frase mi fa uno strano effetto in questo tempo in cui toccare qualcuno sembra totalmente fuori norma e ci si saluta col gomito anche tra amici.
“Sono molto alti questi gradini”.
Prendo quella mano cicciottella e fiduciosa e letteralmente la sollevo nel treno, giusto in tempo per sentire il segnale di chiusura porte.
Il contatto con la sua mano mi fa sentire viva.
Mi ringrazia.
Io sono di nuovo dentro di me e mi pervade una gioia infinita.
Essere nel momento giusto e nel posto giusto per essere utile a qualcuno.
Scrivo poco ultimamente perché mi piace scrivere di bellezza ed è difficile trovarne.
Una cosa piccola per una grande gioia.
Quella che sento dentro di me.
E’ bene.
E questo bene lo indirizzo a te, che quando ho avuto davvero bisogno mi hai teso la mano, senza nemmeno sapere chi fossi.