Non è ancora l’alba. E sono in terrazza. A fumare…
Sai la novità! dirà il Direttore che sembra avere recuperato il suo caratteraccio e il suo umore caustico.
Sempre là stai. In Terrazza. A non far nulla… Bella la vita degli insegnanti in pensione (proprio lui parla, che è in pensione e giornalista, nota categoria di nullafacenti) e adesso, certo, ci scrivi uno dei soliti polpettoni dal vago senso filosofico… Sempre così, quando non sai che dire…
Forse, ma solo forse, qualche ragione ce la potrebbe avere… Però, vedete, per me la terrazza non è un luogo come un altro. Le vicende della mia vita, e gli accadimenti sociali ( diciamo così) degli ultimi anni, hanno fatto sì che divenisse…altro. Un simbolo, la definirei. E siccome aveva ragione Cassirer quando, criticando la Critica di Kant, affermava che l’Uomo non è semplicemente “animal rationalis”, ma è anche, anzi soprattutto, “animal symbolicus”, io parto da questo. Per tirar fuori, anche oggi, un articoletto.
La terrazza è legata alla casa. Ma non ne fa, realmente, parte. È un luogo separato. Non vi si vive davvero. A meno di trasformarla in veranda chiusa, magari con abuso edilizio. Da sanare alla prima moratoria. Che, per altro, sono frequenti come i raffreddori stagionali…
Ma la terrazza è un qualcosa che si sporge verso l’esterno. La casa è, o almeno dovrebbe essere, il tuo rifugio. Un luogo…intimo. La dimensione della interiorità. Il mondo è fuori. E quando esci di casa, ti avvolge e coinvolge. Ti avviluppa come un boa constrictor nelle sue spire.
Quando sei “nel mondo” non hai, quasi mai, coscienza di ciò che ti accade. E, spesso, neppure delle tue azioni. Sei troppo coinvolto. Troppo preso nella tela del, grande, ragno.
Poi, quando finalmente, rientri in casa – se la casa è davvero tale, e non un’altra stanza della tortura – ritrovi, almeno in parte, te stesso. E, talvolta, in un momento di lucidità, ti chiedi come hai fatto a fare, o subire, tante cose. Laggiù. All’esterno.
La terrazza rappresenta qualcosa di sospeso. Tra l’interno e l’esterno. Tra il luogo in cui ti ritiri, l’ultimo residuo della tana, del nido – e qui verrebbe da tirare fuori Verga e la sua Casa del Nespolo – e dove, invece, ti perdi e disperdi. Dove sei uno dei tanti. Folla nella folla.
Sulla terrazza non si vive. Soprattutto non si agisce…Che mai potresti fare in una dimensione tanto ristretta?
Però è un…osservatorio privilegiato. Ti permette di guardare la vita, o meglio le esistenze scorrere d’avanti a te. Senza esserne coinvolto. Luogo di distacco. Di contemplazione.
Però, naturalmente, vi è terrazza e terrazza. La porzione di mondo che osservi, cambia. E, mutando, agisce diversamente sulla tua…anima. I simboli non sono statici. Ma in perenne metamorfosi.
Per anni, molti troppi, dal terrazzino della casa dove abitavo, guardavo sempre lo stesso panorama. Un campaccio incolto dove venivano portati a pascolare i cani. Un giardino per giochi da bambini, trascurato e mezzo distrutto… Cassonetti delle immondizie straripanti…. Certo, non vi era solo questo. Anche le sagome dei Tiburtini. E soprattutto quella, solitaria, del Soratte. Ma lontane all’orizzonte. Quasi una Morgana nel deserto. Ciò che restava di un sogno.
E ascoltavo i rumori della città. Vedevo ombre frettolose. Automobili che sgommavano. Negli ultimi anni, radi passanti. Anonimi. Con la maschera che li rendeva sempre più anonimi. Simbolo della vita, della non vita, che mi scorreva davanti.
Ora sono qui. Il terrazzo è molto più grande. L’aria fresca. E pulita. Niente mosche a darmi il tormento. E gli odori sono, per lo più profumi. Di pane appena sfornato. Vi è un forno a pochi passi. Gli odori di una vigna quasi pronta per la vendemmia. Quelli del bosco, che è prossimo. Di erba e alberi. Di legno.
E vedo le montagne. Non remote. Montagne alte. Con le rocce che scintillano nel primo sole. Mi sembra, allungando una mano, di poterle toccare.
Respiro. Ascolto il silenzio. Che qui, prima del risveglio, è profondo.
La terrazza è cambiata.
Forse, anche la vita…