Se mi domandassero, così, du tac au tac, qual è il maggior problema dell’Italia, in questi tempi calamitosi, non esiterei un attimo: risponderei che sono i terroni. Siccome, però, se dicessi una cosa del genere, senza aggiungere una qualche chiosa, produrrei solo un’universale caduta di mandibole e un concomitante giramento di balle, forse forse, è il caso che vi spieghi cosa intendo per “terroni”.
Il terrone non è una categoria geoetnica, sibbene antropologica: il terrone non è affatto il meridionale. Anzi, molto spesso, il meridionale è il nemico numero uno e il maggiore antidoto al terrone.
Numerosi pensatori, nel tempo, si sono domandati come sia possibile che, ad esempio, la Sicilia abbia dato all’Italia alcuni tra i massimi intellettuali della sua storia e, al contempo, sia una sentina di malaffare e di cattive abitudini: la risposta consiste proprio nella convivenza tra meridionali e terroni. Laddove, ahinoi, per solito è il terrone a prevalere.
Va detto che lo stesso fenomeno si realizza tra settentrionali e polentoni, ma che, in questo caso, sono i settentrionali a prevalere, per fortuna: tuttavia, il polentone, per quanto figura antropologica fastidiosa e perniciosa, per sua intima natura rimane lontano dai gangli del potere centrale, cosa che, per nostra immane scrovegna, non accade affatto nel caso del terrone, anzi!
Il fatto è che, mentre i meridionali lavorano duramente, si lamentano poco, accettano le regole e, anzi, si fanno un vanto del proprio rispetto per il diritto, la giustizia, la legge, i terroni intasano ogni buchino del potere: avanzano, a gomitate o a leccate di culo, fino a poggiare il tafanario sull’agognata poltrona. Ed è lì che la loro terronaggine si manifesta meglio e diventa una jattura per il Paese, nord, sud, centro e isole.
Fateci caso: i governanti, i portavoce, i tromboni di Stato, i mammasantissima della pubblica amministrazione, fatte salve le eccezioni, non sono per nulla meridionali: sono terroni. Hanno l’arroganza, l’impudenza, la scellerata furbizia, la monumentale ignoranza del terrone.
Le università del sud sfornano migliaia di formidabili giureconsulti, medici, ingegneri, matematici, filosofi: nessuno di loro, però, fa carriera, nessuno viene valorizzato, a nessuno viene chiesto un parere. Finchè non accettino di trasformarsi in terroni: di abbandonare la meravigliosa dignità, la lucidità ammirevole del meridionale vero, puro, originario.
E, a quel punto, l’universo si rovescia: gente con la terza media, bibitari, avvocati di provincia, diventano statisti, luminari, potenti. Solo che, mutata la seggiolina impagliata con la poltrona Frau ministeriale, non è che smettano di essere quel che erano prima: continuano a maneggiare l’Italia, come maneggiavano coltello e forchetta, quando non erano nessuno. Il che è tipico del terrone: lo stesso che si inventa sempre un cugino che la sappia lunga, quale che sia l’argomento di conversazione.
Costoro, al posto del cugino, hanno un esercito di disutili, strapagati, suddivisi in teams, task forces e simili altre anglofone astruserie: ma il risultato non cambia. Ecco perché penso che il maggior problema dell’Italia siano i terroni: perché temo che, alla fine, per sopravvivere, diventeremo terroni tutti quanti. Settentrionali, meridionali, isolani e centrali. Eppure, avremmo potuto essere semplicemente Italiani e cavarcela benone.