Tina Modotti nacque a Udine nel 1896 da una famiglia piuttosto povera (il padre era meccanico, la madre sarta), a 12 anni iniziò a lavorare, a 16 emigrò negli Stati Uniti per raggiungere il padre a San Francisco: lì iniziò a recitare a teatro e in film muti, e a posare come modella per pittori e fotografi.
Nel 1918 iniziò una relazione con l’artista Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey e si trasferì con lui a Los Angeles per iniziare a lavorare nel cinema. Qui conobbe il fotografo Edward Weston: ne divenne la modella preferita e poi l’amante.
Un personaggio affascinante, sconosciuto per molti e romanzato da altri. Tra arte e passione, politica e mistero; Tina è stata spesso ripresa per scoop giornalistici, biografie falsate, telenovelas romanzate. Prima di tutto una donna, meravigliosa affascinante creatura, che ha vissuto pienamente ogni sfaccettatura della sua vita sino a restarne spesso travolta. Difficile trattare con dovizia ogni risvolto di questa affascinante personalità.
Tina arriva a San Francisco nel 1913, lasciandosi alle spalle un’adolescenza da dimenticare: secondo un’informativa della questura, si sarebbe prostituita per mantenere la famiglia.
Una volta in America, frequenta le mostre, segue le manifestazioni teatrali e recita nelle filodrammatiche della Little Italy: tutto pare attrarre il suo interesse, ma nulla ancora la coinvolge realmente.
Durante una visita all’Esposizione Internazionale Panama-Pacific conosce il poeta e pittore Roubaix de l’Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, con cui si sposa nel 1917 e si trasferisce a Los Angeles. Entrambi amano l’arte e la poesia, dipingono tessuti con la tecnica del batik; la loro casa diventa un luogo d’incontro per artisti e intellettuali liberali.
Tina nel 1920 si trova a Hollywood: interpreta The Tiger’s Coat, per la regia di Roy Clement e, in seguito, alcune parti secondarie in altri due film, Riding with Death e I can explain: si tratta di esperienze deludenti, che decide di abbandonare per la natura troppo commerciale e poco culturale.
In questo periodo incontra Edward Weston, e sarà lui a cambiarle per sempre la vita. Tina si appassiona alla tecnica fotografica, posa per l’artista, e intanto osserva, studia e fa suoi gli insegnamenti di Weston, travolto dalla passionalità e dal fascino della giovane donna. Lei ha venticinque anni, lui trentaquattro ed è sposato e ha quattro figli.
Dopo le prime attenzioni per la natura: rose, calle, canne di bambù, cactus, Tina sposta l’obiettivo verso forme più dinamiche, quindi utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia sociale, e le sue opere, comunque realizzate con equilibrio estetico, assumono di frequente valenza ideologica: esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto: mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello.
Le persone irrompono nella sua fotografia, come nella sua vita. Volti cupi, disillusi, bambini che si tengono stretti in angoli di strade.
La sua Graflex diviene un occhio spietato sulla sofferenza, sulla desolazione; un mezzo comunicativo ed espressivo per urlare con rabbia una rivolta imminente.
Sue fotografie vengono pubblicate nelle riviste internazionali: “Creative Art” negli Stati Uniti, “Agfa Paper” di Praga, “Varietès” di Bruxelles.
Tina dice di sé «Sempre, quando le parole “arte” e “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo… Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.»
Tina vive con la fotografia ed esegue molti ritratti, si unisce al pittore e militante Xavier Guerrero (che ben presto andrà a Mosca alla scuola Lenin), aderisce al Partito Comunista, lavora per il movimento sandinista nel Comitato “Manos fuera de Nicaragua” e partecipa alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti durante le quali conosce Vittorio Vidali, rivoluzionario italiano ed esponente del Komintern.
Il 5 febbraio 1930 Tina è ingiustamente accusata di aver partecipato a un attentato contro il nuovo capo del Messico, Pasqual Ortiz Rubio, arrestata ed espulsa dallo Stato.
S’imbarca sul piroscafo olandese Edam, compie il viaggio fino a Rotterdam assieme a Vittorio Vidali e raggiunge Berlino, dove conosce Bohumìr Smeral, fondatore del Partito comunista di Cecoslovacchia, lo scrittore Egon Erwin Kisch e la fotografa Lotte Jacobi nel cui studio espone le opere che aveva portato con sé dal Messico.
In ottobre decide di partire per Mosca, dove la attende Vidali. Lascia Berlino e forse per sempre la fotografia. In questo periodo si interrompe anche la corrispondenza con Weston. Smette di scrivere parole, come smette di scattare fotografie. Le sue paure e i suoi racconti più intimi lasciano il passo ad un periodo travolgente e deleterio.
A Mosca Tina non riuscì più a fotografare.
Perché non fu più capace di ritrovare nelle immagini quella originale sintesi tra forma e ideologia per quale era famosa? La luce slavata e tetra di Mosca, le difficoltà nel trovare i materiali fotografici per la sua Granflex e nell’ottenere i permessi per gli scatti non sono motivi sufficienti a giustificare una crisi artistica così profonda.
«Vivo una vita completamente nuova, tanto che mi sento diversa» scrisse a Edward Weston, il grande fotografo americano suo confidente che l’aveva avviata alla fotografia.
Anche se Tina era riuscita a vendere l’ingombrante Granflex e a sostituirla con una modernissima (e introvabile in Urss) Leica mod. 1932 con esposimetro incorporato, anche se poteva diventare la fotografa ufficiale di qualche importante istituzione dello Stato sovietico, rifiutò ripetutamente le offerte di scattare foto.
Il 13 giugno 1932 nella stanza che occupava nello squallido e polveroso Hotel Soyuznaya, dopo aver sistemato obiettivo ed esposizione della sua Leica, la porse ad Angelo Masutti un ragazzo sedicenne che aiutava Vidali a Soccorso Rosso dicendogli: «Prendila… e fammi una foto». Il giovane scattò con la Leica una prima foto in controluce e un’altra con Tina semigirata verso la finestra. E poi una terza di Tina con Vidali dall’aria stranamente protettiva. Angelo Masutti fece per restituirle la macchina fotografica, ma Tina lo fermò dicendogli: «Tienila». E come disse il regista Sergej Eisenstein, «aveva sacrificato l’arte per la politica».
Nella capitale sovietica allestisce la sua ultima esposizione, iniziando a lavorare come traduttrice e lettrice della stampa estera, scrive opuscoli politici, ottiene la cittadinanza e diventa membro del partito; abbandona la fotografia per dedicarsi alla militanza nel Soccorso Rosso Internazionale. Fino al 1935 vive fra Mosca, Varsavia, Vienna, Madrid e Parigi, per attività di soccorso ai perseguitati politici.
Nel luglio del 1936, quando scoppia la guerra civile spagnola, assume il nome di Maria e si trova a Madrid assieme a Vittorio Vidali, suo compagno da anni, che diventa Carlos J. Contreras, Comandate del Quinto Reggimento.
Durante tre anni di guerra, lavora negli ospedali e nei collegamenti, stringendo amicizia con altre combattenti come Maria Luisa Laffita, Flor Cernuda, Fanny Edelman, Maria Luisa Carnelli.
Durante la ritirata, con la Spagna nel cuore, aiuta i profughi che si avviano alla frontiera e si trova in pericolo sotto i bombardamenti.
Arriva a Parigi con Vidali e nonostante sia ricercata dalla polizia fascista, chiede alla sua organizzazione il permesso di trasferirsi in Italia per svolgere attività clandestina, ma le viene negato per la pericolosità della situazione politica.
Maria e Carlos, come tanti altri esuli, rientrano in Messico, dove il nuovo presidente Lazaro Cardenas annulla la precedente espulsione. Conducono un’esistenza difficile e Tina vive facendo traduzioni, si dedica al soccorso dei reduci, lavora nell’ “Alleanza internazionale Giuseppe Garibaldi” e frequenta pochi amici, fra cui Anna Seghers e Constancia de La Mora.
Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici in casa dell’architetto Hannes Mayer, Tina Modotti muore, colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa. Come già era accaduto dopo l’assassinio di Julio Antonio Mella, la stampa reazionaria e scandalistica cerca di trasformare la morte di Tina in un delitto politico e attribuisce responsabilità a Vittorio Vidali.
Non si sa se Tina partecipò ai complotti, alle trappole che portarono alle uccisioni degli oppositori di Stalin, degli anarchici e dei comunisti antistalinisti di Andreu Nin del Poum, delle quali fu accusato più volte anche il marito, Vittorio Vidali.
Era una donna esausta, sofferente, sconfitta. Era invecchiata precocemente, sempre più stanca, sempre più triste, dilaniata dagli incubi del passato. Era stata definitivamente fagocitata dalle persone per le quali aveva abbandonato la sua arte.