“Hai mai notato come certi tipi di uomini, che erano comuni nella nostra infanzia, sono praticamente scomparsi o in via di sparizione” la mia Amica siciliana butta là questa osservazione. Quasi per caso.
Stavamo parlando di attori di teatro. E di uno in particolare. Salvo Randone. Il più grande interprete di Pirandello. O meglio, del Pirandello “siciliano”. Quello di “Il berretto a sonagli”, “Pensaci Giacomino”, per intenderci… perché, poi, per il Pirandello dei grandi drammi metateatrali, mi viene in mente Romolo Valli. E la Compagnia dei Giovani….
Comunque lei ha buttato lì questa osservazione. Randone è una tipologia d’uomo siciliano che era comune un tempo. Basta pensare a Leonardo Sciascia. Entrambi avevano quello sguardo apparentemente sonnacchioso. Quell’aspetto da grossi rospi immobili in attesa della preda. Qualcosa di inconfondibilmente… arabo.
“E poi c’è l’altra tipologia sparita – aggiunge – quella di Lucio Piccolo..”
E rivedo, mentalmente, le immagini del poeta dei Canti Barocchi. Uno dei, rari, diamanti della poesia l’italiana del secondo novecento. Isolato, dimenticato. Come suo cugino. Tomasi de Lampedusa. Quello del Gattopardo. Due geni letterari che, evidentemente, continuano a dare fastidio. Gli gnomi non sopportano l’ombra dei Giganti…
Comunque stiamo parlando d’altro. Di fisiognomica. Di tipi umani. E Piccolo era basso di statura, gli occhi vivacissimi. I baffetti da sparviero… Una tipologia da hidalgo Spagnolo del ‘600. Di quei Conquistadores dai quali, per altro, discendeva…
L’osservazione mi porta a riflettere su una cosa che, da qualche tempo, si era affacciata al mio campo visivo. Senza però mai trasformarsi in un pensiero coerente.
I giovani, i ragazzi italiani di oggi, in entrambe le versioni femminile e maschile, sono decisamente più belli, alti, aitanti dei loro coetanei del passato. Ma sono, parimenti, indistinguibili.
Mi spiego. O meglio, cerco di spiegarmi.
È sempre più difficile distinguere un ragazzo siciliano da uno veneto. Un napoletano da un piemontese. Non è solo il fatto che vestano allo stesso modo, che si acconcino nella medesima guisa i capelli… È qualcosa di più… profondo.
Si è, in qualche modo, realizzata progressivamente una sorta di uniformità. Non fosse per l’accento sarebbero indistinguibili. E forse, anzi certamente, non solo fra italiani. Perché davvero, oggi, sembra che, come si dice dalle mie parti, “tutto il mondo è paese”.
Cerco sul web vecchie foto. Trovo Svevo, e rivedo un tipo umano che a Trieste si poteva incontrare ancora ai tempi in cui vi facevo l’università. I baffi folti, stempiato, le grosse sopracciglia arcuate… L’incrocio di varie stirpi. Di sangue diverso. Ho visto uomini così discutere di filosofia ai tavolini del caffè San Marco. O passeggiare sui moli…
Il volto magro, segnato, con le borse sotto gli occhi, di Diego Valeri. Era di Piove di Sacco il poeta. E si portava i tratti di generazioni contadine. Di vite e storie difficili. Come Ungaretti, che nacque in Egitto, visse a Parigi, a Roma, in Brasile… Ma che nell’aspetto continuò ad essere un valligiano della Lucchesia, uno che attingeva da secoli l’acqua dal Serchio…
Citazioni di letterati, ma non letterarie. Perché quello di cui sto parlando, un poco alla rinfusa, o meglio alla “burchia”, è della varietà dei tipi umani che si potevano incontrare nelle varie terre d’Italia. Sino, in fondo, a non molto tempo fa…. E che ora sono, praticamente, sparite. O in via d’estinzione. Peggio del Panda.
E non mi venite a dire che è merito di una migliore alimentazione, di cure mediche e pediatriche… E non tirate fuori l’idea che la mescolanza delle genti, il meticciato, diciamo così, si rivela sempre un bene. Per gli uomini, come per gli animali.
Qui, secondo il mio modesto, modestissimo parere, la questione è diversa.
La perdita delle varietà fisiognomiche mi sembra la spia di un’altra, ben più rilevante, perdita. Quella delle diverse varietà spirituali. E di anima.
Perché gli uomini riflettono nei tratti somatici ciò che sono interiormente. Come individui, certo… Ma anche come appartenenti ad una cultura. Ad un popolo, se vogliamo ad una storia. E gli italiani erano questo. Un incredibile intreccio di popoli. Culture e storie. Non siamo l’Islanda. O l’isola di Pasqua.
Siamo gli eredi degli Etruschi e dei Retii, dei Siculi e degli Elimi, degli Iapigi e dei Latini. E dei Greci, degli Arabi, dei Goti e dei Longobardi…
La diversità, anche nelle tipologie fisiche, ci appartiene. E ci connota. Per questo, forse, abbiamo avuto l’arte e la cultura che ci rendono depositari di oltre il 70% del patrimonio artistico mondiale.
La perdita delle varietà umane, dei tipi può produrre solo grigi caseggiati, sempre più o meno uguali.
Volti senza espressione. Senza storie.
Ci stiamo arrivando… Anzi, ormai siamo alla negazione stessa di volti e espressioni.