“Togliete le vostre sporche mani dalla Turchia! So benissimo che vorreste creare conflitti nel nostro Paese. Togliete la vostra faccia sorridente dalla Turchia!”. Mentre il mondo si mobilita per portare aiuti a Damasco e ad Ankara, gli Stati Uniti mettono in campo il consueto cinismo e – come riporta Agcnews – minacciano ritorsioni contro i turchi se continueranno ad esportare verso la Russia tutti quei prodotti che Washington ha inserito nella lista nera, dai microchip ai prodotti chimici. Peccato che la reazione furibonda del ministro degli interni turco, Suleyman Solyu, contro l’ambasciatore statunitense non lasci molti dubbi su quanto sia stato apprezzato l’avvertimento dei cowboy d’Oltreoceano.
Così come non ci sono dubbi sui tentativi di Washington di destabilizzare la Turchia per condizionare le elezioni previste per il 14 maggio. Biden ed i suoi burattinai non sopportano Erdogan, perfettamente ricambiati dal leader di Ankara. Non a caso gli Stati Uniti avevano favorito il tentativo di colpo di stato contro Erdogan, progettato negli Usa e sventato grazie alle informazioni fornite al presidente turco dall’intelligence di Mosca.
Questa volta, invece, Washington punta sull’effetto terremoto. I ritardi nei soccorsi, la rabbia per le case crollate evidenziando i difetti di costruzione e la speculazione edilizia, sono elementi che possono ribaltare i sondaggi elettorali. Anche perché l’area più colpita è proprio quella dove Erdogan avrebbe potuto fare il pieno di voti. Mentre incontrerà comunque maggiori difficoltà in città come Istanbul.
Il presidente era già riuscito nel miracolo di ritrovarsi favorito nei sondaggi, dopo che la sua sconfitta era data per probabile sino ad un anno fa. La crisi economica, il malcontento per la stretta in direzione di un integralismo islamico poco apprezzato nelle grandi città, erano elementi che giocavano contro la sua rielezione.
Poi la guerra in Ucraina (ed una provvidenziale eliminazione per via giudiziaria dell’avversario principale) aveva ridato speranze. La Turchia, membro della Nato, si è posta come unico interlocutore credibile per Mosca e Kiev. Trasformandosi in snodo fondamentale per lo sblocco della commercializzazione di grano ucraino e russo, oltre che dei fertilizzanti di Mosca. Ed avviando la propria trasformazione in un hub energetico per l’Europa, i Paesi asiatici più vicini e quelli africani. Ovviamente ogni operazione ha portato benefici non solo politici ma anche economici per la Turchia. E lo spirito nazionalista interno ha fatto il resto.
Ma Washington non ha apprezzato le relazioni amichevoli con Mosca, con Pechino, con tutta l’area turcofona dell’Asia centrale. Non ha apprezzato l’acquisto di sistemi missilistici russi e neppure il veto all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, sino a quando i due Paesi non consegneranno ad Ankara i curdi ricercati e rifugiati a Stoccolma ed Helsinki. Dunque gli americani alzano la voce, nella speranza di mettere in difficoltà Erdogan e favorirne la sconfitta. Con il rischio, se la strategia non funzionasse, di avvicinare ulteriormente Ankara a Mosca e Pechino.