Città troppo affollate? Tokyo corre ai ripari ed offre l’equivalente di 7.200 euro per ogni figlio alle famiglie che lasceranno la capitale nipponica. Anche Milano corre ai ripari. E il sindaco decide di penalizzare sia chi si muove in auto sia chi utilizza i mezzi pubblici, appena rincarati. Ecco, il “modello Milano”, sicuramente quello di una città dinamica ed all’apparenza ricca, si scontra con una serie di problemi che, se non risolti, rischiano di portare ad una vera esplosione sociale.
Con una retribuzione netta di 1.500 euro, a Milano, ci si può concedere la speranza di acquistare un appartamento di ben 18mq con un mutuo trentennale (dati dell’Osservatorio sulla casa). Ovviamente non in zona centrale. Poco più di un loculo, dunque, e sacrificando un terzo dello stipendio. In pratica, considerando anche l’anticipo da versare, bisognerebbe versare l’intero stipendio per più di 13 anni per acquistare un alloggio. Cioè il doppio rispetto alla media italiana. Una bolla speculativa evidente, ma come tutte le bolle non si può pronosticare quando esploderà.
Però la follia dei prezzi per un’abitazione nel capoluogo ha conseguenze inevitabili. La fascia meno ricca e più giovane della popolazione è costretta a spostarsi nei Comuni dell’hinterland, con ripercussioni negative sui servizi che devono essere continuamente adeguati. Mentre i rincari imposti da Sala per il biglietto di metro e bus, non aiutano chi già deve sopportare i consueti disagi del pendolarismo.
Si rischia di ritrovarsi con una città in cui, ogni mattina, si riversa un esercito di lavoratori che – a seconda della fascia di reddito – arrivano dalle cittadine vicine o da paesi sempre più lontani. E più tempo trascorri su treni affollati, più riduci la qualità di vita. Peggiorando, inevitabilmente, la prestazione lavorativa a causa dell’accumulo di stanchezza e di frustrazione. Un pendolarismo che, ormai, supera anche i confini regionali, con lavoratori di fascia medio alta che utilizzano l’alta velocità per i collegamenti con Torino. E nonostante i prezzi, il rientro serale è di assoluta scomodità.

È il prezzo inevitabile da pagare per partecipare al dinamismo milanese? Forse sì, almeno in questa fase. Però i giapponesi hanno capito che l’eccessiva concentrazione urbana rende invivibili le megalopoli. Certo, Tokyo ha 37 milioni di abitanti, Milano meno di un milione e mezzo. Ma il problema della inadeguatezza dei servizi in rapporto alla popolazione vale per entrambe le città. E, soprattutto, si pone il problema di ciò che devono rappresentare le grandi città.
Non ci sono più le grandi industrie, a Milano. E neppure nelle immediate vicinanze. In realtà non ci sono quasi più in nessuna parte d’Italia, a parte rare eccezioni. Ci sono aziende medio grandi che, sempre di più, operano nei servizi. La moda, la finanza, il commercio. Tutto molto bello, tutto molto aleatorio comprese le banche sempre alle prese con scalate tentate, riuscite, fallite.
Però è anche la città che punta sul lavoro intelligente, cioè sul futuro. Ma più cresce l’intelligenza e meno c’è bisogno di grandi sedi, di grandi concentrazioni fisiche di cervelli. Vero, peccato che i cervelli di oggi siano quelli di ex ragazzi cresciuti tra gli aperitivi a Brera e le cene sui Navigli (senza soffermarsi sui dopocena nei locali dello sballo). Difficile immaginare che questa generazione si entusiasmi all’idea di trasferirsi in un paesino dell’entroterra ligure con moglie, figli e cane d’ordinanza. Ma neppure a Portofino o a Cortina fuori stagione.
Problemi di mentalità urbana, ma anche totale incapacità delle amministrazioni dei piccoli paesi e delle località turistiche più famose di predisporre una strategia per attrarre nuovi residenti e non solo nuovi turisti.