Ammazzi un bambino in auto e finisci ai domiciliari. Massacri di botte qualcuno perché ti sembra che ti abbia “guardato male” e finisci ai domiciliari. Aggredisci, in branco, un ragazzo per rubargli smartphone e portafoglio e, se proprio ti va male, ti becchi un obbligo di firma. Uccidi, volontariamente, chi ti sta antipatico e tra domiciliari e sconti di pena, resti in carcere 5/6 anni. Se, poi, hai una famiglia ricca alle spalle, i domiciliari li trascorri in villa con piscina.
Indubbiamente l’effetto di deterrenza delle pene non funziona molto, in Italia. Ma neanche il recupero del condannato. Difficile immaginare il percorso di recupero mentre il povero colpevole si tuffa nella piscina di casa. Mentre si gode il sole della casa del mare o della montagna. Della vittima, ovviamente, non frega niente a nessuno. I benefattori dell’umanità si occupano solo di Caino. Abele giace e chi resta si dà pace.
Ma se i crimini più gravi sono puniti in questo modo, è evidente che si crea un effetto tolleranza sempre più esteso. Se non stanno in galera gli assassini, come si può punire in qualche modo chi ruba, chi picchia, chi sfascia una vetrina o dà fuoco a un cassonetto non per protestare contro qualche ingiustizia sociale ma solo per sfogare la rabbia perché la propria squadra di calcio ha perso o per essere stato lasciato dalla morosa?
Oppure, al contrario, se si cresce con la consapevolezza della totale impunità per risse, aggressioni, rapine, devastazioni, quale freno ci sarà per evitare di passare allo spaccio di droga o all’omicidio?
Però il governo dell’ordine e disciplina corre ai ripari: chi, in auto, supererà i 60 km orari in un viale cittadino a tre corsie per senso di marcia si vedrà ritirare la patente. E lo stesso per chi oserà varcare i 120 km orari in quelle autostrade dove il limite è sceso a 110. Perché la legge è legge. Ma solo in auto.