Vorrei vederlo oggi, il Doctor Angelicus. Tommaso d’Aquino, intendo. Entrare in un’aula in Vicolo degli Strami – lì era la sede della Sorbona, come attesta Dante – tirare fuori dal saio domenicano una bella mela rossa, e dire: questa è una mela. Chi non è d’accordo, esca.
Mi ricorda questa storia F.G., vecchio amico. E antico Maestro..
Però, mi verrebbe da dirgli, allora era, decisamente, più facile. Intendiamoci, non che io voglia in qualche modo sminuire l’importanza di questo insegnamento di Tommaso. Che con poche parole, e un gesto essenziale, spiegava i fondamenti della conoscenza. La base di tutta la gnoseologia medioevale. E, naturalmente, il retaggio di Aristotele. Di cui l’Aquinate era il diretto continuatore. Non senza un aiuto da parte di al-Farabi. Che lui stesso chiama Doctor Secundus. Essendo, naturalmente, il primo lo Stagirita, la cui opera, tuttavia, non avrebbe potuto conoscere senza la mediazione, traduzione e commento, del Maestro di Baghdad (anche se nato in Tranxoxiana, l’odierno Kazakistan)..
Comunque, quella mela è il fondamento del Realismo. Di quello medioevale, che è grande scuola filosofica. Non quello moderno che è, al massimo, una corrente letteraria abbastanza… grigia.
Dire: questa è una mela, equivaleva ad affermare la perfetta coincidenza tra una cosa e il suo nome. Che non era arbitrario. La mela così si chiamava, perché solo così si poteva chiamare. E tutte le mele avevano lo stesso nome. Il tema degli Universali…
Ma mica erano tutti d’accordo. C’erano i Nominalisti. Ed erano pensatori tosti. Come Roscellino, che sosteneva che non esiste alcun universale, nessuna corrispondenza tra una cosa e il nome che le viene attribuito. O come, più misurato, Guglielmo da Ockham. Per il quale la corrispondenza tra la cosa e il suo nome, ovvero l’universale, è solo nel nostro intelletto. Non nella mente di Dio.
Comunque per Tommaso una mela era una mela. E non sì poteva discutere. Altrimenti…
Però…senza nulla togliere alla sua grandezza, vorrei vederlo adesso. Perché quelli che aveva davanti erano degli “scolastici”. O meglio, allievi della Scolastica. Per lo più giovani monaci, già adusi alla, dura, disciplina del convento. E laici, anche, non meno temprati allo studio. Eruditi. Parlavano, e pensavano, in latino. Erano abituati alla dialettica, ai sillogismi. Qualcuno, forse, avrebbe potuto alzarsi, e osare argomentare che quella non era una mela. E che solo nella mostra mente diventava una categoria universale. E Tommaso, sorridendo, avrebbe distrutto le sue argomentazioni.
Ma oggi? Che direbbe il grande Dottore se si trovasse davanti un allievo maschio, vestito con abiti femminili? Che sostiene di essere donna, solo perché questo è un suo desiderio, e ha diritto di avere tutto ciò che desidera, altrimenti è discriminazione, omofobia….che potrebbe dire?
Che questa è una mela, certo. Ma quanti sarebbero, non dico in grado di capire, ma almeno di ascoltare?
Ben pochi, temo.
La nostra è epoca priva di disciplina. In primo luogo intellettuale. E per ascoltare la lucidità e un, pur minimo, rigore dell’intelletto è essenziale. La capacità di distinguere ciò che è, da quello che noi desideriamo sia. Che non sempre coincide. Anzi, ben di rado.
Non può comprendere che “questa è una mela” chi considera i suoi desideri unica misura del mondo. Desideri che, per altro, sono un rimescolio confuso di pulsioni, istinti. Il prodotto, anzi la secrezione del lato più oscuro della nostra psiche.
E la nostra (pseudo) cultura è, oramai, sempre più solo questo.
Tommaso resterebbe lì. Con la mela in mano. Guardando, sconsolato, gli sguardi torbidi e attoniti di ascoltatori incapaci di ascoltare.
E forse , quella mela la scaglierebbe in testa a qualcuno. Forse, ripeto, l’unico modo di attrarre l’attenzione….di svegliare un briciolo di coscienza…