Nel Medioevo una persona qualunque vedeva, in media, 40 immagini artificiali nel corso della vita intera: quadri, arazzi, affreschi. Oggi vediamo, in media, 600mila immagini artificiali. In un solo giorno. Diventa dunque automatica una sorta di selezione per fronteggiare questo eccesso di immagini che si aggiunge ad un eccesso di informazioni. Un eccesso che vale, anche, per gli influencer. Mentre folle di giovani, senza arte né parte, sognano di diventare milionari sulla scia dei Ferragnez e pagano a caro prezzo corsi del tutto inutili, nel mondo delle imprese cominciano a serpeggiare dubbi sull’utilità dei nuovi miti della comunicazione.
Ne ha parlato ieri Mario Verna, direttore generale di Queencar, intervenendo al confronto organizzato da Leading Law Notai e Avvocati all’interno del Torino Digital Days che, per 6 giorni, vedrà il coinvolgimento in varie parti della città per discutere dei cambiamenti nel mondo digitale. L’influencer tradizionale – ha sottolineato Verna – si rivolge a tutti e parlare a tutti è come parlare a nessuno. I cambiamenti diventano sempre più rapidi e ciò che pareva il futuro è già diventato il passato. Mentre ciò che sembrava superato si ripresenta come esempio di modernità.
Così l’influencer più interessante diventa quello con meno follower ma più fedeli. Quello che si rivolge ad un segmento particolare del mercato. Si passa dalla società della comunicazione di massa alla società di relazione. Ed anche gli arresti domiciliari di massa, con conseguente ricorso massiccio agli acquisti online, hanno determinato non l’assuefazione ma una sorta di rigetto. Con le aziende – comprese quelle telefoniche – che riscoprono l’utilità di aprire o riaprire negozi, store, corner. E con i grandi punti vendita che riducono le superfici per offrire un servizio più a dimensione umana.
Perché, in fondo, questo oscillare tra passato e futuro è un tentativo di riallacciarsi ai versi di Battiato: “trovare l’alba dentro l’imbrunire”. E forse non è così difficile come si pensava.