Torino in crisi? Meno male. Torino deindustrializzata? È una fortuna. Adesso che le follie di Crosetto contribuiscono a coinvolgere l’Italia nella guerra diretta contro la Russia, chi teme lo scatenarsi della Terza guerra mondiale comincia a valutare i possibili obiettivi delle atomiche del Cremlino. Ed allora tutte le lamentele di Mino Giachino per la marginalità della capitale subalpina si trasformano in speranza di sopravvivenza. Insomma, se Torino non ha più aziende strategiche, non è neanche un obiettivo interessante per i missili di Mosca.

Purtroppo la vicinanza con il paese di Crosetto rappresenta un rischio ma, per il resto, perché mai la città dovrebbe essere colpita? Rischiano molto di più Monfalcone, La Spezia, Genova. E le basi degli occupanti statunitensi in Veneto. Solo per restare al Nord. Mirafiori non è un obiettivo neppure per i ladri presenti sul territorio torinese; Alenia si occupa di viaggi nello spazio, non di aerei da combattimento; Lavazza non è certo un bersaglio strategico; gli yacht della Azimut non rappresentano un pericolo per le navi russe.
Si può quasi stare tranquilli. Sempre che il mondo sopravviva.

Poi, però, se la guerra mondiale non dovesse scoppiare, i conti con questa marginalità subalpina bisognerà pur farli. Certo, nasconderemo un po’ di polvere sotto il tappetino delle gare di pattinaggio all’Oval per le Olimpiadi; ci illuderemo che una ridicola pista da sci al coperto, a fianco di splendide piste “vere”, risolva i problemi del turismo. Ma, prima o poi, si dovrà smettere di giocare a nascondino, affrontando la realtà. E prendendo atto che la classe dirigente attuale è del tutto inadeguata. Sotto l’aspetto culturale, imprenditoriale, politico. Un sottosistema marcio e incapace. Che sopravvive a se stesso facendo rete, mettendo in atto un catenaccio in stile “Padova di Rocco”. Certo, così scarsi da evitarci forse l’atomica, ma per farci morire d’inedia a poco a poco.