L’articolo di Andrea Ganelli dal titolo “A Torino serve un sindaco che abbia fatto la gavetta” uscito su La Stampa domenica 18 ottobre, sembra un endorsement nei confronti di Stefano Lo Russo, attuale capogruppo del Partito Democratico in Consiglio comunale.
Sia chiaro: “sembra”, perché il nome dell’esponente dem subalpino non viene fatto neppure una volta, al contrario di quanto successo nei giorni precedenti, quando la sua discesa in campo alle prossime primarie – che ha sorpreso un po’ tutti – è stata ampiamente ripresa dai maggiori quotidiani italiani e non solo sulle pagine della cronaca politica locale.
Tuttavia l’analisi dell’opinionista torinese si scaglia, in modo del tutto garbato, contro la diffusa tendenza a cercare candidati sindaci tra la cosiddetta “società civile”. Una tendenza che evidenzia da una parte il timore dei vertici politici a promuovere figure troppo esposte, e dall’altra la difficoltà dimostrata da tutti nell’individuare al proprio interno personaggi che abbiano saputo emergere per, come dice Ganelli, “coerenza, competenza e professionalità”.
Ma l’analisi può tranquillamente essere estesa anche agli schieramenti che non gravitano intorno al partito di Zingaretti.
In primo luogo è una critica nei confronti dell’attuale amministrazione guidata dalla Appendino, che era nata proprio per lanciare una proposta che si ponesse fuori dalla cerchia dei partiti tradizionali e dai loro esponenti di spicco. Un’esperienza che si è dimostrata fallimentare e che, come tutti sanno, è culminata con la rinuncia della stessa “sindaca” a correre per il secondo mandato.
Un fatto che dimostra come gli stessi pentastellati riconoscano il proprio fallimento.
Nello stesso tempo può essere interpretata come un’apertura di credito a chi, nel centrodestra, sostiene che il prossimo candidato a guidare la città capoluogo del Piemonte debba essere una “candidatura sana, frutto maturo di un percorso virtuoso, coerente e professionale. In questa categoria rientrano i casi delle donne e degli uomini che hanno deciso (e con il loro percorso personale lo hanno dimostrato) di investire in modo costante, coerente, continuativo e professionale parte del loro percorso di vita al servizio della comunità e delle istituzioni”.
Un’analisi, quella di Ganelli, che non può che essere condivisa, ma che nello stesso tempo risulta in controtendenza rispetto alla diffusa tentazione, che sembra prevalere nel centrodestra, di scegliere un “condottiero” che non abbia mai fatto politica in vita sua. Come se, avendo bisogno di un idraulico per una riparazione, ci ostinassimo a chiedere aiuto a un avvocato o a un professore universitario: grandi professionisti ma che, legittimamente, possono non capire “un tubo” di riparazioni.
Tale analisi “allargata” pare vada a scontrarsi contro l’opinione di chi, nel centrodestra appunto, continua a opporsi a una candidatura “politica” in senso stretto. E dire che di persone che negli ultimi anni abbiano investito “in modo costante, coerente, continuativo e professionale parte del loro percorso di vita al servizio della comunità” ce ne sono. Al netto di quelli che già ci hanno provato ma hanno fallito: non sono tantissimi, ma ci sono!