Brillante come sempre, Michele De Feudis recensisce, su Barbadillo, “Andy Capp-Andy torna in campo”, il libro pubblicato da Signs Books con le strisce inedite dello scomparso Reg Smythe. Andy l’anarca, lo definisce De Feudis. E questo, nell’era delle pecore italiane, potrebbe essere un handicap per le vendite.
La scelta editoriale, sicuramente coraggiosa, rappresenta soprattutto un omaggio alla memoria di chi si è appassionato da ragazzo alle avventure – tra casa, pub e campo di calcio – del piccolo inglese odiatore del lavoro, nemico acerrimo di chiunque gli proponesse un’attività alternativa al bere, al giocare, al corteggiare le ragazze approfittando della monumentale pazienza della moglie.
Non un antesignano dei renitenti alla vanga sdraiati sul divano. Perché era sufficiente l’idea di una pinta di birra al pub o di una scazzottata sul campo di pallone per farlo scattare dalla poltrona di casa. E per farlo rientrare a notte fonda inventando le scuse più assurde per sfuggire al mattarello della consorte Flo.
De Feudis ricorda che Andy Capp (anche il nome è ormai ampiamente scorretto politicamente, in attesa che qualche associazione denunci “l’intollerabile ironia”) era diventato un idolo delle curve degli stadi, era stato immortalato sugli striscioni. Quando i tifosi riempivano gli stadi e non i divani di fronte alla tv. Un mondo svanito, un personaggio troppo controcorrente per essere tollerato dal gregge, dai chierici dei media di regime, dagli intellettuali di servizio.
Andy che non rispetta l’arbitro in una partita di pallone? Anatema! Andy che si azzuffa! Censura, potrebbe dare il cattivo esempio! Andy che si ubriaca al pub con gli amici e fa il cascamorto con la cameriera senza aver ottenuto un consenso scritto preventivo? Vietare, vietare, vietare!
Nella migliore delle ipotesi la lettura del libro potrà essere permessa esclusivamente per delle analisi critiche sul “come eravamo”, accompagnate da doverosi manifesti di disapprovazione. Giusto così. Però, almeno, noi ci siamo divertiti..