Un piccolo barattolo di marmellata alla mela cotogna a cui è legato un bigliettino su cui si legge:
Ri-bellarsi: /ribel’ larsi/ (V. rifl.) ritornare al BELLO.
È cosa nota: abbiamo bisogno di bellezza. E dove c’è bellezza, stiamo bene. L’attrazione verso ciò che ci piace fa parte della nostra natura; va da sé che dove si è stati bene, siamo portati quasi automaticamente a tornare, quasi senza pensarci troppo, poiché istintuale e oserei dire, innato.
È il sistema della ricompensa di cui anche le neuroscienze si occupano. Meccanismi raffinati e complessi, danze di neurotrasmettitori e sinapsi che si attivano in diverse aree cerebrali, illuminando come lampadine circuiti elettro-chimici che innescano a loro volta azioni e reazioni. E noi, dal canto nostro, torniamo a La Limonaia; ristorante immerso tra alberi da frutto, ulivi e piante aromatiche, da scoprire un po’ fuori dal centro di Torino.
Come in una relazione d’amore, il rapporto che si instaura con l’ospite comincia con un “benvenuto”: è un regalo, un omaggio, un gesto di gratitudine per accogliere quella cucina, quel cibo, quel luogo; per abbracciare la filosofia del piatto, per condividere un’idea. Un grazie per la fiducia, per l’apertura, per il gesto, intimo, di mangiare.
Come in un rapporto di coppia, ci si conosce piano piano, assaporando piccole pietanze, pensate per Chi è appena arrivato, per orientarlo e guidarlo alla scoperta dei sapori, attraverso le mani.
Sì, si degusta il tutto con i cinque sensi, inizialmente. Le posate arriveranno poi.
Il bello, buono e giusto de La Limonaia risiedono poi nel Luogo: dalla cucina alla sala, uno spazio che, a regola d’arte, si trasforma continuamente in laboratorio, bottega e atelier. Artisti, artigiani e operai allo stesso tempo, figure poliedriche che lavorano la materia, prima e primordiale, e creano atmosfere immersive multisensoriali: è la neuroestetica del cibo, che coinvolge ben più dei neuroni.
Questione di emozioni, sensazioni, fino allo spirituale. Si sperimentano sapori nuovi, si attivano vecchie memorie, i ricordi vengono rievocati.
Gli accostamenti inaspettati creano sorprese di gusto, ma anche visive: si gioca, con illusioni ottiche, con il concetto di aspettativa, in uno scambio con l’ospite che si fa sempre più raffinato e complesso, e sempre meno comunicabile a parole, perché da vivere.
La degustazione: esperienza ispirata da entrambe le parti: la cucina si fa istinto puro, accettando l’invito di coloro che, a tavola, vogliono conoscere un po’ più di loro stessi e di chi si prenderà cura di loro nello spazio di un pranzo o di una cena.
Sfida accettata: la cucina non ha bisogno di vedere il tavolo, è come un appuntamento al buio. Ci si affida ai sensi più raffinati, oltre la cinestetica, per capire i desideri dell’Altro. La degustazione prevede che tutti gli ospiti del tavolo scelgano questa opzione. Si mangiano le stesse cose nello stesso momento.
Esperienza di condivisione all’ennesima potenza, è reciprocità e scambio, è generosità e predisposizione d’animo verso l’Altro e verso se stessi. La cucina racconta una storia, partendo dall’antipasto fino al dessert.
A narrarla, coloro che in sala, nell’estrema fiducia dei cuochi, enunciano l’esperienza che l’ospite sta per vivere; a loro il compito di lasciare un’impronta, un primo segno, la responsabilità di chi vede affidarsi il cuore delle due parti, aperti e disposti.
Questo sito utilizza i cookies. Utilizzando il nostro sito web l'utente dichiara di accettare e acconsentire all’utilizzo dei cookies in conformità con i termini di uso dei cookies espressi in questo documento.