Agatha Christie, o, come dicono gli innumerevoli appassionati, semplicemente Lady Agatha. La Signora dei gialli, dei delitti. Degli intrighi. Forse, anzi certamente, non la più grande autrice del genere per la scrittura, lo stile. Un poco antiquato ed ampolloso. Vittoriano direi. Che la traduzione italiana riesce, in parte, a ripulire. Aggiornare…e neppure la più profonda per psicologia. Scavo dei personaggi. Indagine sugli abissi dell’anima umana. Insomma, non è Rex Stout, scrittore che giunse alla Detective Story dal romanzo sperimentale americano, cresciuto all’ombra di Williams Carlos Williams, e sulla scia di Henry James. E neppure il Truman Capote di “A sangue freddo”. O il nostro Gadda del Pasticciaccio…
Ma sotto il profilo delle trame, degli intrecci, lei non ha rivali. È l’indiscussa regina del genere. Meccanismi complessi e intricati. Ma senza mai una sbavatura. Un anello che non tiene. Semplicemente perfetti. Leggete, se mai ancora non l’avete fatto, il Natale di Poirot, Poirot a Styles Court… O anche il, meno noto, “L’uomo dal vestito marrone”. E capirete…
Le chiesero, in una delle ultime interviste, come fosse diventata così abile nel creare intrecci. Da dove venisse la sua arte.. E lei, più o meno, rispose così:
La vita è noiosa. Non mi interessa. Preferisco inventare trame…
La noia, la monotonia dell’esistenza ordinaria. Il grigiore della quotidianità. E il desiderio di evadere. Normale. Comune… Però c’è modo e modo di fuggire il tempo presente, e il suo ineluttabile scorrere. Solo apparentemente lento. Vi è il sogno. Il fantastico. L’utopia. I mondi immaginari. I Paradisi artificiali della mente. I ricordi, se non sei più giovane…
E vi è il modo suggerito da Lady Agatha. Costruire non una realtà alternativa, come Tolkien o Lewis (C. S., quello di Narnia…), bensì una trama. Un intreccio che dia diverso ritmo, e colore, alla realtà ordinaria. O a quella che riteniamo tale…
Le indagini di Poirot. Quelle della, curiosa e impicciona, Mrs Marple avvengono nella realtà ordinaria… ma solo in apparenza. Ché dietro ogni piega di questa si cela un enigma. Un enigma, non un mistero oscuro. Occulto. Metafisico. Sono dei grovigli. Dei nodi che sfidano la ragione. L’intelligenza. E che vengono, a poco a poco, risolti. Sino a che tutto è chiaro. E tutto torna in ordine.
Il fascino di questi romanzi sta proprio in questo. Per quanto rappresentino delitti e crimini, sono… tersi. Il male è azione dell’uomo. E prodotto dall’intellegenza male usata. E ciò che la ragione aggroviglia, la ragione può dipanare. Rassicurante, in fin dei conti.
Non è così, però. Non nel vivere ordinario. O meglio, nel nostro esistere. Che, sempre più spesso, mi appare come un tirare a campare. Un sopravvivere. Una sorta di, lunga e inconscia, agonia.
Perché l’esistenza ordinaria è, come diceva Lady Agatha, noia e grigiore. Ed è in questa che si cela il Male. Quello con la maiuscola. Che non è il delitto pianificato e commesso con un’intelligenza acuta ancorché corrotta. Piuttosto, l’ottundimento della psiche. Dell’anima. Della coscienza.
E non vi è colpo di genio che possa dissolvere questo male, questa tabe interiore. Non vi è un Poirot che tutto risolve con il solo ausilio delle sue celluline grigie.
Non vi è un ordine logico cui ritornare. Perché il tragico è nell’esistenza comune. Nella noia ordinaria. Nel piattume che ci circonda, avvolge. Ottunde.
E lì non basta l’intelligenzia scintillante. O il colpo di genio. Ci vuole, ci vorrebbe… ben altro.