Ho sempre amato viaggiare in treno. E devo dire fortunatamente. Perché di treni, nella mia vita, ne ho dovuti prendere sempre molti. Treni regionali, o locali come si diceva un tempo. Per andare al lavoro. E treni a lunga percorrenza.
Comunque, questa non è un’autobiografia. La memoria personale mi serve solo da punto di partenza. Per parlare del treno. Che, certo, non è il mezzo più veloce di spostamento, ma sicuramente il più suggestivo. Quello più ricco di echi letterari, di poesia, se vogliamo. E anche di… avventura.
Perché, certo, l’aereo ti permette di annullare con più facilità distanze anche remote. Ma che avventura può incorrere nella carlinga pressurrizzata e asettica di un Boeing? Un vuoto d’aria… Un guasto ai motori… E infatti vi è una, oramai datata, filmografia catastrofista sul tema.
Vuoi mettere il treno? Hitchcock vi ambientò, nel ’38, il capolavoro del suo periodo britannico “La signora scompare”. Che, a mio avviso di non esperto, resta uno dei suoi film migliori, oggetto, inevitabilmente, di numerosi remaking, citazioni e plagi… Per non parlare, poi, delle innumerevoli versioni cinematografiche e televisive del gioiello della, prolifica, regina del giallo, Agatha Christie. Quell’Assassinio sull’Orient Express, che mette a dura prova le “celluline grigie” di Hercules Poirot…
Già, l’Orient Express. Da Londra a Istanbul. Non un normale treno, ma il Treno per eccellenza. Quello carico di fascino esotico, che conduceva verso un Oriente avvolto ancora in un alone di mistero. In un’atmosfera di eleganza raffinata, dove tutto, amori, intrighi, assumeva un colore diverso. Crepuscolare, direi, ché rappresentava un Mondo in via di sparizione. Il mondo dei Viaggiatori, del piacere di viaggiare. E del viaggio come esperienza interiore, prima ancora che esteriore. Quello che Evelyn Waugh, con la sua penna corrosiva, ha saputo raccontare in più di un romanzo. E, soprattutto, nella straordinaria prosa di “Quando viaggiare era un piacere”.
D’altro canto Pirandello – una delle mie manie, certo, lo confesso prima che me lo dica il Direttore – pone la svolta nella vita del suo Mattia Pascal proprio durante un viaggio in treno. È lì che scopre, dal giornale, di essere stato dato per morto. E sempre lì che comprende che, questa, è una straordinaria, unica occasione per avere una nuova vita. Per reincarnarsi. Non torna nella sua città, per rivendicare la sua vecchia esistenza. Va a Roma, col treno. E diviene Adriano Meis.
Il treno conduce non solo da un luogo all’altro come l’aereo. Nel quale ti rinchiudi e vieni mosso, portato a destinazione. Senza nulla vedere del viaggio. Vieni mosso, come un oggetto. Non sei tu a muoverti.
Dai finestrini del treno, invece, è possibile vedere mutare i paesaggi, cogliere, pur nella velocità, atmosfere, colori, sensazioni diverse.
Ricordo che quando venivo a Roma per lavorare alla tesi di Laurea nella biblioteca del Germanico, là, appena dietro Via Veneto, restavo per molto tempo a guardare dal finestrino. E notavo, così, il cambiamento di paesaggio dal mio Veneto collinare e dolce, all’area della Bassa, avvolta spesso da nebbia. Quasi sempre da foschia. E poi l’Appennino, innevato in Inverno, rutilante di colore e vegetazione dalla Primavera all’Autunno. E, prima del Lazio bruciato in Estate dal sole, la Toscana. Con la Maremma, davvero il “dolce paese onde portai conforme / l’abito fiero e lo sdegnoso canto..” del Carducci. Che tale lirica scrisse proprio in treno. Come molte, per altro… perché in treno si leggeva, molto. E si scriveva, anche. Lettere, appunti, diari… E anche, come citato, qualche capolavoro.
Certo, erano altri tempi. E altri treni. Più lenti. E più confortevoli. Dove spesso facevi incontri curiosi. Interessanti. Istruttivi. I lunghi viaggi favorivano la conversazione fra sconosciuti. Le discussioni. Lo scambio delle idee. Gli scompartimenti erano dei piccoli salotti.
Oggi non è più così. I treni ad Alta Velocità rivaleggiano con gli aerei. L’Europa sta venendo innervata dai famosi “Corridoi”. La velocità è più importante di tutto. Anche del paesaggio, spesso violentato. E poi si viaggia per lo più in galleria. E disposti in file come su un aereo. Non parli più con nessuno. Non conosci nessuno. Con il Covid, poi… mascherine e distanziamenti…
Anche il treno è diventato una proiezione, o declinazione, della solitudine urbana.. Della nostra solitudine quotidiana, in mezzo ad una folla anonima e anomica. Senza parola. E senza più volto.