Sono trascorsi pochi mesi da quando, su sollecitazione di Pechino, Teheran e Riad hanno ripreso a dialogare. Tra lo scetticismo generale dei media italiani atlantisti. Ed ora il primo treno merci russo ha raggiunto l’Arabia Saudita dopo aver attraversato anche l’Iran nonché altri Paesi teoricamente “ostili”. Un convoglio poco più che dimostrativo, in termini economici. Ma estremamente interessante proprio perché dimostrativo. Soprattutto in vista dell’imminente incontro internazionale sulla Via della Seta (anche) ferroviaria cinese.
Inevitabile che ai maggiordomi italiani queste iniziative non piacciano. Dopo più di 40 anni di chiacchiere la rete ferroviaria italiana ad alta velocità non è ancora completata. E, forse, non basterà un altro decennio. Anzi, sicuramente non basterà se si vorranno collegare anche i porti, ossia una infrastruttura semplicemente fondamentale.
Però il giornalismo italiano guidato da Washington esulta per i ben più lievi ritardi nella costruzione dell’immensa rete ferroviaria cinese che andrà ad intersecarsi nell’altra colossale infrastruttura russa sull’asse Nord-Sud. La prima dai porti cinesi sino al cuore dell’Europa ma anche sino all’Africa; la seconda da San Pietroburgo sino alla Penisola arabica da un lato e sino ai porti indiani dall’altro.
Ma da noi si sta ancora discutendo sulle opere per raggiungere Trieste da Venezia. E si festeggia perché vengono appaltati i lavori per una tranche della Torino-Lione. Mentre ci si interroga su cosa fare al tunnel del Monte Bianco. Dimenticando – volutamente? per ignoranza? – che dopo il rogo del traforo un grande gruppo internazionale si era proposto di realizzare un tunnel ferroviario, occupandosi anche dei collegamenti su entrambi i versanti, per una cifra nettamente inferiore rispetto a quanto poi ottenuto dai soliti noti grazie ad un bando scandalosamente ad hoc.
Così come ci si dimentica – volutamente – che la capillare rete ferroviaria italiana, realizzata negli anni tra le due guerre, era stata smantellata dopo la seconda guerra mondiale per accontentare la famiglia Agnelli che voleva imporre le proprie vetture, diventate indispensabili proprio per l’eliminazione dei binari che raggiungevano anche le località di campagna.
Eppure, in questa corsa verso la mobilità sostenibile, il ricordo dell’ennesima porcata compiuta per compiacere Gioanin Lamiera servirebbe da monito. Ma toccare gli Agnelli ed ora gli Elkann è sempre vietato, in Italia.
Dunque bisogna limitarsi a condannare gli sforzi russi e cinesi per realizzare ciò che in Italia è stato distrutto. E festeggiare per i loro ritardi, invece di partecipare ai progetti garantendo mega commesse alle aziende italiane. Ma il padrone statunitense non vuole, ed i maggiordomi si adeguano.