Trent’anni fa, il 14 agosto 1988, moriva a 90 anni Enzo Ferrari.
Da bambino aveva un rendimento scolastico piuttosto scarso e allo studio preferiva di gran lunga lavorare nell’officina del padre che l’avrebbe voluto ingegnere.
Lui, invece, avrebbe voluto divenire tenore d’operetta o giornalista sportivo o pilota automobilistico. E infatti il 16 novembre 1914 riuscì persino a far pubblicare il suo resoconto della partita di calcio Modena-Inter sulla Gazzetta dello Sport.
Nel 1917 venne arruolato nel Regio Esercito, ma nello stesso anno fu congedato a causa di una pleurite. Ripresosi dalla malattia, dopo un lungo ricovero nella sezione “incurabili” dell’ospedale di Bologna, con una lettera di raccomandazione datagli dal comandante del suo corpo, Enzo Ferrari raggiunse Torino e chiese di essere assunto presso la FIAT, ottenendo un cortese rifiuto.
Restò comunque nel capoluogo piemontese perché a Porta Nuova conobbe la diciannovenne sartina Laura Garello, originaria di Racconigi, con la quale si fidanzò e che poi sposò nel 1923.
In quello stesso anno, dopo alcuni tentativi senza successo, vinse la sua prima gara automobilistica. Si trattava del Gran Premio del circuito del Savio, presso Ravenna.
Secondo quanto narrato dallo stesso Ferrari, fu in quell’occasione che la madre di Francesco Baracca, contessa Paolina Biancoli, gli consegnò il simbolo che l’aviatore portava sulla carlinga, un cavallino rampante, e gli disse: «Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna».
Nel 1924 partecipò alla fondazione del giornale sportivo «Corriere dello Sport». Ma in seguito si disimpegnò dall’editoria per dedicarsi anima e corpo ai motori.
Nel 1929, fondò una squadra corse, collegata all’Alfa Romeo e destinata a diventare celebre come Scuderia Ferrari.
Ma occorrerà attendere il secondo dopoguerra perché la Scuderia ritorni alle competizioni. Drake (come amava farsi chiamare) decise di mettersi in proprio in quanto l’Alfa Romeo aveva deciso di ritirarsi dalle competizioni per motivi di ordine economico.
Inizialmente la sua azienda costruiva auto anche per privati soltanto per finanziare, almeno in parte, la partecipazione alle competizioni automobilistiche, dalla nascente Formula 1, alla 24 ore di Le Mans. Per il resto, e per la prima volta nel mondo delle corse, si affidava a sponsor.
Ma dopo la vittoria di Alberto Ascari nel campionato del mondo di Formula 1 nel 1952, le due attività progredirono di pari passo. E sappiamo come poi andarono le cose.
Di tutte le testimonianze della sua vita di imprenditore che sono state riportate in libri e articoli, ci piace ricordarne almeno una, quella di Niki Lauda, due volte campione del mondo con la “rossa”.
Il campione austriaco, stimato, odiato, amato da Enzo Ferrari, intervistato per il film dedicato alla leggendaria «312B» ha raccontato: «È stata la persona più carismatica che ho incontrato. Quando provai la Ferrari per la prima volta, a Fiorano, c’erano lui e suo figlio Piero. Feci alcuni giri, tornai al box. Ferrari mi chiese come fosse la Ferrari. Non parlava inglese, Piero faceva da interprete. Dissi che la macchina era un disastro e simulai con le mani il comportamento in curva. Piero, in evidente imbarazzo, mi confidò: “Non posso tradurre a mio padre ciò che hai detto”. Ma lui aveva capito. Così intervenne: “Se modifichiamo la macchina, quanto pensa di essere più veloce?”. Risposi: “Almeno tre decimi di secondo”. Allora lui: “Va bene, ma se non migliorerà di almeno tre decimi si consideri licenziato”. Guardai Piero sbalordito, avevamo appena firmato il contratto. Piero mi spiegò: “Nessuno può dire a mio padre che una Ferrari è un disastro”. L’ ingegner Forghieri cambiò le sospensioni, migliorammo di 5 decimi. E così decollò anche il mio rapporto con Enzo Ferrari».