Chissà perché, forse per la pioggia che ci accompagna incessante da Capodanno… forse per le strade vuote e tetre, ormai prive anche delle poche luminarie natalizie… forse per il senso di sconforto che provo non di fronte all’ennesima menzogna di un Dittatore da farsa, ma al comportamento spregevole di un gregge che tutto digerisce e subisce… sarà per il mio umore melanconico… ma questo Carnevale mi pare cosa ben triste.
Già. Perché, anche se non ce ne siamo accorti, è iniziato , da oggi, il Carnevale. Che si apre subito dopo l’Epifania, e si dovrebbe protrarre sino al Martedì Grasso. Quando si entra in Quaresima, a meno che non si segua il Rito Ambrosiano…
Un lungo iato di tempo sospeso tra le due grandi Feste cristiane. Il Natale, preceduto dall’Avvento e protratto sino all’ Epifania. E la Pasqua, con tutta la preparazione quaresimale. Uno spazio temporale che la Chiesa definì Tempo Ordinario. Perché, alla fin fine, non è mai riuscita a convertirlo, o se vogliamo dominarlo totalmente. Ed è restato un vuoto… Ma un vuoto che si riempie, come sempre avviene, di… presenze.
Per altro non è certo un caso che il Carnevale occupi sostanzialmente i mesi di Gennaio e Febbraio. I mesi oscuri e freddi. I due mesi che, un tempo, non esistevano. Tempo, dunque, sospeso. E tormentato. Nel clima, rigido e ventoso. Nell’umore. Cupo e umbratile. Infine, nei sogni. Quelli notturni e quelli ad occhi aperti…
Presenze… ben diverse, però, da quelle che popolano le notti magiche intorno al Natale. Presenze più inquietanti. Anche se non sempre necessariamente negative. Le intuiamo venire dalla notte. E dalla terra. Muoversi nel vento. Riflettersi, per un attimo, nel ghiaccio. Il Sole, ascendente, ancora non scalda abbastanza. Le Stelle e la Luna appaiono lontane. Inarrivabili.
Ciò che si muove intorno a noi si traveste. Il mascheramento è il segno di questi giorni che scorrono con maggiore lentezza. Le figure sono molteplici. E multiformi. Ma le maschere, alla fin fine, hanno sempre la stessa espressione. Una risata. Ma agghiacciante. Un ridere senza autentica allegria. Perché l’allegrezza necessita del calore. Del fuoco interno. E queste sono maschere che vengono dal gelo…

Sono maschere che, alla fine, incutono paura. Ricordo un episodio. Da bambino, piccolo, molto. Assistetti con i miei ad uno spettacolo di Carnevale. Tra i personaggi, c’erano degli Zanni. Figure di servi sciocchi, poi soppiantati da Arlecchino. Uno portava una maschera con un naso adunco e il ghigno che mi fece paura.
La notte lo vidi. O forse lo sognai … Un’ombra stagliata contro il muro. Con quel naso. E quel ghigno.
Da allora cominciai a farmi domande sulla vita. E, sopratutto, sulla morte.
Domande che non hanno mai una risposta definitiva. E che, tuttavia, ti insegnano che esiste una gerarchia delle paure. Che vanno affrontate giorno per giorno… per diventare uomini. E per rimanere tali.
Oggi, per le vie, di Maschere ne incontro molte. Troppe. E tutte uniformi. Prive di espressione. Non muovono al riso e non incutono paura. La manifestano. E non ridono. Sono i senza volto di questo triste Carnevale