In attesa di scoprire i fondamentali risultati elettorali di domenica a Massa Carrara, Ivrea, Pietrapertosa e Fiumara, il resto del mondo si interroga invece sul voto, nello stesso giorno, in Turchia. Il dubbio è uno solo: riuscirà Erdogan a restare in sella o verrà disarcionato dalla coalizione messa in piedi da Washington per eliminare – questa volta in modo legale dopo il fallito colpo di stato – il pericolo leader turco? Pericoloso per gli Usa e, di conseguenza, per l’intero mondo democratico, liberale, con valori occidentali, bla bla bla.
I sondaggi prevedono una sconfitta del Sultano, ma il ritardo rispetto all’avversario Kilicdaroglu si è progressivamente ridotto. Il risultato avrà un impatto enorme non solo per la Turchia ma anche per il mondo intero (anche se i chierici della disinformazione italiana non se ne sono ancora accorti). Perché una sconfitta di Erdogan riporterebbe la Turchia sotto il controllo di Washington e metterebbe a rischio il percorso di pace che è stato avviato nel Vicino Oriente.
Perché Ankara, in questi ultimi anni, è riuscita a superare la storica inimicizia con la Russia e, su questa base, ha creato le condizioni per una normalizzazione in Siria ed ha trovato un modus vivendi con l’Iran. Anche il conflitto tra Azerbaijan e Armenia si è ridotto di intensità così come la guerra civile in Libia.
Ma Washington ed i mercanti di armi potevano accettare una simile situazione? Certo che no. Così prima hanno organizzato un colpo di stato – fallito perché i servizi segreti russi hanno avvertito Erdogan che, da quel momento, ha sensibilmente migliorato i rapporti con il Cremlino – ed ora hanno organizzato una coalizione che mette insieme laici e religiosi, turchi e curdi, uniti solo dall’odio nei confronti di Erdogan e dalla disponibilità ad unirsi alla squadra dei maggiordomi di Biden.
Qualora vincessero, la Turchia non sarebbe più il porto sicuro per i commerci russi e si acuirebbero le tensioni in tutta l’area. Che è anche la nostra area mediterranea. Inoltre Ankara diventerebbe la capitale preferita da Washington, nonostante il servilismo italiano. Perché gli Usa sarebbero costretti a sostenere il rilancio economico della Turchia, a scapito degli altri Paesi atlantisti della zona. Proprio per sostenere Kilicdaroglu che si ritroverebbe in mezzo a stati più attratti dalla Cina, e in subordine da Mosca, che non da Washington.
Dunque più rischi e più povertà per l’Italia. Ma con la prospettiva di un acuirsi degli scontri per il Nagorno Karabak, per la Tripolitania, in Siria, nelle zone controllate dai curdi. Perché dove arrivano gli yankee, anche per interposta persona, immancabilmente arrivano le guerre. E se i mercanti di armi festeggiano, saranno meno felici gli italiani alle prese con nuovi aumenti dei prezzi energetici ma anche di quelli alimentari. I famosi “piccoli sacrifici” imposti da Sua mediocrità Mario Draghi per sostenere l’amico Zelensky..