Torno sulla questione della maestra siculo-torinese che non ha in simpatia carabinieri e poliziotti
Ci torno perché, negli ultimi giorni, ho letto una serie di commenti, anche apparentemente autorevoli, di libertari di ogni fede e colore, che difendevano il diritto al posto di lavoro della bassaride predetta: l’argomento principe era quello della libertà di pensiero, naturalmente.
Ve la faccio breve
in poche parole, secondo questi commentatori, un insegnante, quando smette i panni curiali e torna nel mondo dei vivi, può fare, dire, pensare quello che gli pare, senza che le sue azioni, parole o pensieri debbano pregiudicarne la carriera.
Detta così, e in termini astratti, è una bellissima idea: viva la libertà, porca l’oca! Peccato che quello dell’insegnante non sia precisamente un mestiere come gli altri: sotto l’ombrello della malintesissima “libertà di insegnamento”, si possono nascondere psicopatologie, manipolazione dei cervelli, sordidi plagi e via discorrendo. Insomma, un insegnante, anche se nessuna legge lo prevede, deve dimostrare, perlomeno, un minimo di buon senso e di equilibrio, stante che ha per le mani l’educazione dei nostri figli.
Quindi, messa da parte la solita teoria, passiamo alla pratica
a voi rassicurerebbe sapere che la maestra di vostro figlio, nel tempo libero, si droga, si ubriaca e urla come un’invasata auguri di morte alla polizia? Io credo di no: difficile pensare ad una schizofrenia di tale profondità da far sì che una signora, alla sera, sia una specie di belva, assetata di sangue ed aiutata dal cannabinolo, e che, la mattina dopo, si alzi dal letto sotto le specie di una serena ed amorevole educatrice dell’infanzia. Diciamo che neppure Stevenson aveva immaginato metamorfosi tanto repentine, senza neanche un mal di testa.
Quindi, ben venga l’allontanamento della madama: non in nome della repressione, ma della tutela degli scolari
E non si tratterebbe neppure di licenziamento, giacchè la maestra da combattimento è una semplice precaria, ergo è, per così dire, ancora in garanzia: odia tutto e tutti e, soprattutto, lo Stato? Benissimo: se ne torni al paesello ad odiare l’Italia guidando il trattore o, in subordine, a fare quel che le pare, ma lontanissimo dai nostri figli.
La scuola italiana è già piena di cattivissimi maestri
reduci degli anni di piombo, che hanno consegnato le armi, ma non hanno rinunciato all’odio. Li conosco personalmente, questi casi di arruolamento spregiudicato: dirigenti scolastici precedentemente condannati per spaccio di droga e professori ex terroristi di Prima Linea. Non ci facciamo mancare nulla, tanto che verrebbe da chiedersi: non c’era di meglio sul mercato, o li avete scelti apposta, questi bei capi d’opera?
Che esista una specie di “Soccorso Rosso”, in versione viscidamente soft, nelle istituzioni educative, non è una novità: Gramsci, poveretto, mica si immaginava di aprire la strada a questi bei soggetti, postulando l’occupazione della cultura. Però, almeno nei casi come questo, in cui la pericolosità sociale e, più ancora, clinica del soggetto è di assoluta evidenza, direi quasi da rea confessa, chiudiamo le saracinesche della scuola ai seminatori di odio.
So bene che questa aspirante maestra non è che la vittima di un sistema che l’ha sfruttata in veste di “utile idiota”: che non è che la pedina, rabbiosa e dissociata, di un gioco molto più grande di lei. Però, visto che ai burattinai, che seminano odio per i propri loschissimi fini, non si riesce mai ad arrivare, cominciamo almeno ad allontanare i burattini.
Mica tutti hanno i soldi per mandare i figli nelle scuole svizzere. Mandiamoci la pasionarie, in Svizzera, ad incartare la cioccolata. Ammesso che le lascino entrare.
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