Financial Times contro Economist nella valutazione dei rapporti tra Unione Europea e Cina. Un dibattito che non sarebbe possibile in Italia, visto il totale servilismo nei confronti di Washington. La posizione dei media italiani è quella che viene stabilita dai democratici o dai repubblicani Usa. Dunque la Cina resta il nemico principale, insieme alla Russia putiniana ed all’Iran. Senza discussioni, senza analisi.
Invece in Gran Bretagna, pur in presenza di un giudizio pesantemente negativo nei confronti di Pechino da parte di entrambi i giornali, FT ed Economist possono dedicarsi ad immaginare scenari, a valutare contromisure. Ciò che cambia, radicalmente, non è la valutazione sui comportamenti cinesi, bensì sugli atteggiamenti europei. In pratica FT ritiene che l’Ue più Gran Bretagna ed Usa abbia la forza per respingere le sirene economiche cinesi obbligando, in questo modo, Pechino a rivedere la politica repressiva interna, quella contro gli abitanti di Hong Kong e le minacce contro Taiwan.

L’Economist, più cinicamente, pensa al contrario che i soldi cinesi saranno sufficienti per comprare le coscienze degli europei.
I soldi, indubbiamente, sono importanti. Molto importanti, soprattutto in Paesi finanziariamente disastrati come l’Italia. Ed il padrone americano non è per nulla generoso. Mario Giordano, nella sua trasmissione televisiva di questa settimana, ipotizzava scenari apocalittici, con le imprese italiane vendute ai cinesi e svuotate per trasferire le tecnologie in Asia.
Giordano evita di ricordare che nessuno ha imposto agli imprenditori italiani di cedere le aziende. Se hanno venduto, lo han fatto perché non erano capaci di gestirle o, semplicemente, perché hanno preferito incassare tanti soldi e goderseli. Non è colpa di Pechino se questa è la classe imprenditoriale italiana. Quanto allo svuotamento delle aziende, ha caratterizzato la prima fase ma è destinato a ridursi man mano che procederà l’espansione cinese in Italia ed Europa. La Pirelli non è stata svuotata con il passaggio ai cinesi, ed è solo un esempio tra i tanti.

Dove, però, Pechino è estremamente carente è nell’approccio con l’Italia. Dopo aver acquistato le aziende italiane, imprenditori e manager cinesi sono troppo spesso arroganti, privi di qualsiasi voglia di confrontarsi con la mentalità italiana. Da un lato ci sono funzionari pubblici di alto livello che hanno una profonda conoscenza della cultura italiana, dall’altro piccoli imprenditori che non hanno il minimo rispetto per il Paese che li ospita.
È su questo fronte che Pechino deve intervenire se vuole evitare di finire costantemente sotto attacco da parte dei media filo americani e di una popolazione che si sente vessata da comportamenti scorretti e discriminatori. È sul soft power che deve lavorare, e molto, se vuole dei partner europei e non dei sudditi pronti a ribellarsi.