Le intemperanze verbali di Prighozin – quello che i Media chiamano “il cuoco di Putin” perché, oltre ad essere a capo della Wagner, possiede una catena di ristoranti – non hanno sosta. Neppure la presa, definitiva, di Bakhmut, successo di cui si può certo vantare, sembra averlo placato.
I suoi feroci attacchi ai vertici militari di Mosca, si alternano con dichiarazioni quanto meno… estemporanee di politica estera generale. Tali da lasciare spiazzato ogni osservatore.
Dichiarazioni sul fatto che la guerra continuerà a lungo. E che la Russia deve prepararsi non solo ad andare ben oltre i limiti della Operazione speciale – limiti, per altro, autoimposti – invadendo tutta l’Ucraina orientale e prendendo d’assalto Kiev, ma anche all’apertura di nuovi fronti di guerra con la NATO. E non è difficile capire che sta alludendo alla Moldavia, per il problema Transnistria, alla Serbia per il Kossovo, alla Georgia per l’Ossezia del Sud.
Anche se utilizza uno stile indiscutibilmente concitato e abbastanza rozzo, Prighozin andrebbe ascoltato con attenzione. Molta più attenzione di quella che gli prestano Media e analisti occidentali. Perché, certo, è un moderno Capitano di Ventura. Ma non è solo quello. O, per lo meno, non intende restarlo per sempre.
Vladimir Putin ha 70 anni. E, ad onta delle illazioni (e soprattutto delle speranze) occidentali, senbra godere di ottima salute. E, certamente, è estremamente lucido e razionale nel suo agire sulla scena internazionale. Cosa che ben difficilmente si potrebbe sostenere per il suo rivale Joe Biden. L’unico vero rivale. Gli altri, da Macron al pallido fantasma del Cancelliere tedesco, contano come il due di coppe quando la briscola sta a bastoni. Poi ci sarebbe Xi Jinping… ma questo è un altro discorso.
Dunque, Putin sta bene ed è saldo al potere. Ma ha 70 anni, e governa la Federazione Russa da oltre venti. Molto, moltissimo tempo per chiunque. E il potere, ad un certo livello, logora fisico e nervi. In questo, il nostro Andreotti aveva torto.
Eugenij Prigozhin ha 62 anni. E la questione è tutta qui.
Perché a Mosca si sono già aperti i grandi giochi per la successione allo Zar. Tra i suoi fedelissimi.
Lavrov. Il Ministro degli Esteri Serghei Lavrov è, con ogni probabilità, l’uomo più vicino a Putin. Il suo braccio destro, fedele e sicuro. Ma ha già 73 anni… e questa, per l’Occidente, non è una buona notizia. Perché Lavrov è sempre stato, e continua ad essere, l’uomo della mediazione. Quello che, ancora oggi, cerca di mantenere un sottile filo di dialogo con coloro che, in un mondo occidentale sempre più sordo, vorrebbero evitare il deflagrare di una guerra globale. Ma, appunto, ha 73 anni. Troppi per ambire alla successione.
Dimitri Medvedev, invece, è giovane. È nato nel 1965. Ed ha un curriculum di tutto rispetto. Il più “occidentalista” nell’élite del Cremlino, con una laurea a San Pietroburgo, uomo d’affari, ben accreditato in Europa e Stati Uniti. Ha sempre rappresentato il volto liberale del sistema russo. Quello usato da Putin per trattare con i poteri economici occidentali.
Da un po’, però, è diventato altro uomo. Dal Consiglio per la Sicurezza lancia, a raffica, minacce senza veli ai paesi europei. E i suoi attacchi a Washington sono di una durezza senza pari.
Medvedev sa bene che quando il gioco si fa duro, sono i duri, non i moderati, a scendere in campo. E, sicuramente, cerca di disegnarsi un profilo combattivo, insolito per la sua storia. Per evitare che il potere passi nelle mani di qualche generale…
Gli stessi generali che attacca, ferocemente, Prighozin. Perché, evidentemente, sono quelli che sbarrano la strada alla sua ascesa.
Ma, si dirà, è solo un affarista, una sorta di Capitano di Ventura…
Vero. Ma ricordatevi di Francesco Sforza. Da condottiero di mercenari, prese il potere a Milano. Scalzando la, vecchia, dinastia dei Visconti.
Prighozin, il cuoco, avrebbe il profilo perfetto nel caso che la politica di Washington e dell’Unione Europea spingesse l’orso russo sempre più in un angolo. Costringendolo ad accettare una guerra a tutto campo. E, di fatto, uno stato di guerra senza fine.
Potrebbe, per altro, contare sull’appoggio di altre figure atipiche, avventurose. Invise ai vertici moscoviti. Ma sempre più utili in questa situazione.
Viene in mente il leader ceceno Kadyrov. È un sostenitore esplicito di una linea più dura. Non può certo aspirare al Cremlino. Ma conta, e molto, non solo nella sua Cecenia, ma anche tra quel quasi 7% di musulmani della Federazione Russa. E anche oltre i suoi confini.
Per ora la questione appare ancora lontana. Ma non mi meraviglierei se il Cuoco, nel caso di un futuro reimpasto di governo, ricevesse dallo Zar un incarico… pesante.
Tale da dargli sempre più pubblica visibilità.
E renderlo popolare.
Cosa importante. Perché in Russia, nonostante ciò che si dice ordinariamente sui nostri Media, i leader vengono eletti. Con cadenza regolare.