“Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare”. Così scriveva De André in Khorakanè, così vivevano gli sfortunati protagonisti di queste vicende. Quattro ragazzi con la volontà di scoprire qualcosa di nuovo, di vivere nuove avventure e di aiutare i Paesi meno fortunati. Mossi dall’amore per la verità e ritrovatisi in situazioni più grandi di loro, che hanno condotto al carcere e poi, a parte un caso, alla morte.
La triste fine di Paciolla, Regeni e Ventre, e la triste situazione di Zaki devono servire da monito per chi voglia intraprendere una nuova avventura all’estero: state attenti, perché lo Stato italiano non è con voi. Non troverete assistenza nelle ambasciate, non troverete pace dopo la morte. A parlare di voi saranno solo i cittadini, mentre i governanti rimarranno in silenzio a curare rapporti diplomatici e interessi economici.
Ecco perché Electo Magazine si sta battendo per la verità: per dare voce e memoria ai dimenticati dallo Stato.
Giulio Regeni e il silenzio a 5 anni dalla morte
Giulio Regeni scompare il 26 gennaio 2016, per venire poi ritrovato cadavere il 3 febbraio dello stesso anno. In mezzo passano giorni, o forse solo ore, di terribili torture, che lasciano il suo corpo sfigurato e fanno immaginare le sofferenze patite dal ragazzo. Cos’avesse scoperto rimane un mistero.

L’Egitto si finge collaborativo, all’inizio, per poi iniziare un processo di insabbiamento e silenzio. L’ostruzionismo al lavoro della procura italiana è evidente, ma non impedisce alla magistratura di completare le indagini. La richiesta dei pm di Roma è chiara: rinvio a giudizio di quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Si tratta del generale della Polizia presso il Dipartimento di Sicurezza Nazionale, Tariq Sabir, dei colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e del maggiore Magdi Sharif. Non viene contestato il reato di tortura poiché introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017, dopo questi avvenimenti.
Questi soggetti risultano però irreperibili e, dato il divieto di celebrazione del processo in assenza introdotto nel 2014, ci si chiede se sarà possibile procedere nei loro confronti. Il GUP potrebbe ritenere che questi soggetti siano a conoscenza del processo, data l’enorme rilevanza mediatica della vicenda.
La giustizia, quindi, farà il suo corso. Chi non fa il suo dovere è invece il Governo, che tace di fronte alle prepotenze dell’Egitto. La ragione è semplice: i soldi. Soldi che si manifestano sotto forma di gas per l’ENI e sotto forma di navi militari per Fincantieri.
Pecunia non olet: i cadaveri sì, però.
Se vuoi saperne di più sulla vicenda di Giulio Regeni, leggi questo articolo.
Patrick Zaki: un anno di carcere senza un processo
Patrick George Zaki è l’unico ancora vivo tra i soggetti di cui si tratta in questo articolo. Viene arrestato il 7 febbraio 2020, dopo che per la prima volta in quell’anno era tornato in Egitto per una visita alla famiglia. Studente egiziano dell’università di Bologna e impegato attivista dell’EIPR (Egyptian Initiative for Personal Rights) in materia di diritti umani, dopo l’arresto all’aeroporto scompare per 24 ore. 24 ore, secondo i suoi avvocati, di torture, botte e scariche elettriche.
L’elenco di accuse contro Patrick presentate dai pubblici ministeri egiziani include la diffusione di notizie false, incitamento a proteste non autorizzate, istigazione alla violenza e ai crimini «terroristici», e gestione di un account sui social network con l’obiettivo di sovvertire l’ordine sociale e la sicurezza pubblica.

Dal 9 febbraio per Zaki inizia la carcerazione preventiva, prolungata ogni 15 giorni, senza il rispetto dei diritti umani. Patrick, infatti, è costretto a dormire a terra, e non gli vengono concessi neanche gli antidolorifici di cui ha bisogno per i forti dolori alla schiena di cui soffre.
Zaki non è che l’ennesima vittima di questo sistema, che il regime di Al-Sisi utilizza dal 2014 per reprimere attivismo e oppositori. E se i cittadini, in giro per il mondo, si attivano, i governi tacciono. Soprattutto quello italiano, dimentico dei suoi studenti per vendere armi all’Egitto.
Se vuoi saperne di più sulla vicenda di Patrick Zaki, leggi questo articolo.
Mario Paciolla, il ricercatore che si è “suicidato”
Mario Paciolla viene ritrovato impiccato il 15 luglio 2020, nel suo appartamento in Colombia. I tagli e i segni sul suo corpo fanno subito pensare che il suicidio sia una messinscena. Perché è ferito? Perché qualcuno ha lavato l’appartamento con la candeggina? Bisognava forse far sparire le tracce?
Paciolla parte da Napoli come volontario dell’ONU, per realizzare delle ricerche in merito all’accordo di pace tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e il governo colombiano. Scopre di un bombardamento realizzato dallo Stato colombiano che aveva portato alla morte di sette minorenni innocenti. In qualche modo il dossier trapela e il ministro Botero viene costretto alle dimissioni.

Da lì Mario litiga coi suoi superiori, chiede il trasferimento e poi confida i suoi timori alla famiglia. “Mi sono messo in un pasticcio”, dice. La fine, purtroppo, è nota a tutti.
Se vuoi saperne di più sulla vicenda di Mario Paciolla, leggi questo articolo.
Luca Ventre, strangolato nell’ambasciata italiana in Uruguay
La vicenda di Luca Ventre è ancora avvolta nel mistero. Luca entra nell’ambasciata italiana a Montevideo scavalcando il cancello. Sembra che si senta braccato da qualcuno. Il cortile dell’ambasciata è deserto. Luca entra nell’edificio, per uscirne poco dopo, sempre di corsa. Tenta di scavalcare di nuovo il cancello, ma viene braccato da un agente di polizia uruguagio e da un agente di sicurezza dell’ambasciata. I due agenti lo prendono per il collo e questo probabilmente porta alla morte di Luca. Nessuna traccia di forze dell’ordine o militari italiani.
Ventre viene trasportato in ospedale e caricato su una carrozzina, ma sembra già inerte. Gli agenti danno versioni discordanti sulle condizioni di Luca sulla volante: uno sostiene che stesse male, l’altro che fosse violento. Discordanti sono anche le versioni rilasciate dal personale ospedaliero. In attesa degli esiti dell’autopsia e dei vari esami, tra cui il tossicologico, ciò che sconcerta è il silenzio che ha circondato la vicenda.
A detta del fratello di Luca Ventre, Fabrizio, non vi è stato alcun contatto con le autorità italiane, che sembrano voler rimanere inerti una volta di più. Dopo le vicende di Regeni e Paciolla, l’Italia avrebbe un’occasione per rifarsi e dimostrare di saper proteggere i suoi cittadini. Lo farà? Staremo a vedere.
Se vuoi saperne di più sulla vicenda di Luca Ventre, leggi questo articolo.