“Noi siamo avanguardia!”. Basta questa frase di Francesco Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl, per indicare il programma che il sindacato di destra intende portare avanti nei prossimi anni. E sceglie Torino – e il congresso che ha plebiscitariamente confermato Silvia Marchetti alla segreteria locale – per ribadire la sua appartenenza ad un’area che nasce tra fine 800 ed i primi del 900 con il sindacalismo rivoluzionario. Dunque una Ugl “erede di chi ci ha preceduto ma avanguardia di chi ci seguirà”.
Un sindacato che si confronta sulle idee e che, pur rivendicando la sua collocazione a destra, ribadisce la propria autonomia dai partiti. D’altronde Capone fa sicuramente parte di quella schiera – ridotta ma non doma – che viene definita “destra sociale”. E che avrebbe difficoltà ad allinearsi passivamente al liberismo atlantista di una destra di governo che di “sociale” ha conservato poco.
Il segretario, anche in vista del congresso nazionale di novembre, rivendica con orgoglio i successi ottenuti, a partire dall’aver restituito la dignità ad un sindacato che era stato squassato da lotte intestine e squallidi personalismi. E poi la sempre più concreta internazionalizzazione dell’Ugl. Con accordi o addirittura con la creazione di “sindacati gemelli” dalla Spagna al Portogallo, dalla Gran Bretagna alla Romania e all’Albania mentre si è a buon punto in Francia.
Perché le sfide sindacali ormai superano i confini nazionali. Sia per la presenza delle multinazionali sia per il crescente ruolo dell’Unione europea. Anche se persino dal Brasile arrivano richieste per capire come si conciliano “destra” e “sociale”. Si conciliano anche attraverso la partecipazione, ricorda Capone. Ma si conciliano proprio nella logica dell’essere avanguardia. Nel non farsi travolgere dal cambiamento ma nell’anticiparlo o, almeno, nel governarlo. Puntando sulla qualità, sulla formazione, sulle eccellenze e sulle professionalità.
Ed è un peccato che a rovinare l’immagine dell’avanguardia intervenga il vicesegretario Luca Malcotti sostenendo che, con due mesi di formazione, si prepara un giovane nel settore dell’accoglienza turistica. Buttando a mare gli istituti alberghieri ed i loro 5 anni di studio, buttando nella spazzatura i corsi professionali pluriennali. La negazione dell’avanguardia per tornare all’improvvisazione sottopagata.