Tra l’aspro Taklamakan e le nevi del Tian Shan si decidono le sorti della World Island: gran concerto sino-turco nell’”Anima mundi” eurasiatica. La “damnata quaestio” uigura, sospesa tra Lupo e Dragone.
A distanza di cent’anni esatti, riecheggiano le parole profetiche di Halford Mackinder spese nell’enunciazione della propria teoria geopolitica per il dominio in Eurasia del talassocratico Regno Unito all’epoca del “Great Game” contro la Russia tellurocratica: “Chi controlla l’Europa Orientale domina l’Heartland, chi controlla l’Heartland domina l’Isola del Mondo, chi controlla l’Isola del Mondo domina il Pianeta”.
Analisi geopolitica noumenicamente terrestre, si rivela essere una teoria esatta poiché comprovata dalla storia: infatti, il dominio dell’Heartland ha visto confrontarsi strenuamente, in un continuum kjèlleniano di scontri cosmici Leviathan-Behemoth, oltre agli attori geopolitici già citati, durante la Guerra Fredda, l’aquila e l’orso, e nella Fase Unipolare, essenzialmente l’aquila e il dragone, con un corollario di potenze inferiori partecipanti, chi più chi meno, alla nuova corsa alla Pivot Area.
Ed è proprio l’Heartland la pars construens dell’intera analisi in questione: per la cronaca, si è soliti riconoscere il nucleo spaziale del suddetto nell’asse cartesiano “Astana-Kandahar, Atyrau-Ürümqi”.
Fulcro commerciale della prima Via della Seta nonché giuntura cosmica tra l’occidente ascetico e l’oriente solare, l’”Axis Mundi” è da due decenni in particolare la “Great Chessboard” il cui principale terreno di scontro tra superpotenze è senz’altro l’Afghanistan, perennemente instabile e occupato ad aeternitatem dalla NATO per ovvie geostrategie, il cui destino storico, però, è a sua volta legato a doppio filo ad un’altra realtà altrettanto determinante per il dominio della World Island e, pertanto, del globo intero: quella dell’Uiguristan, dello Xinjiang.
Anche se Regione Autonoma della Repubblica Popolare Cinese, questa terra appartiene invero allo spazio panturchista-panturanico per retaggio storico, identità etnica avita, culto tradizionale e Grosslebenformen-Geist (dato culturale-spirito nazionale).
Popolo originario dell’Altaj e successivamente insediatosi, a cavallo tra 800 e 900 d.C., nell’attuale Turkestan giacché scalzato dai bellicosi rivali chirghisi, gli Uiguri hanno una tradizione nazional-imperiale e una coscienza turcica millenarie, formatesi durante i domini dei Kök Türk (Turchi Celesti), della Pax Mongolica di Gengis Khan (la quale ha donato loro l’anima islamica che li contraddistingue) e del Khanato Chagatai, in seguito crollato e assorbito verso il 1700 come provincia islamica dal Celeste Impero dei Qing, che includeva l’Uiguristan nel suo naturale Lebensraum.
Ed è proprio in questo periodo storico che le prime sollevazioni popolari e i primi tumulti indipendentisti iniziano a scoppiare, mettendo a ferro e fuoco la regione specialmente negli anni dell’effimero Regno di Kashgaria (che ricevette il beneplacito ottomano tra l’altro, ma se ne parlerà più in là) e della prima repubblica nazionalista, in cui proprio si raggiunse l’akmè insurrezionale con la formazione, prima, della “Repubblica Islamica Turca del Turkestan Orientale” (1933), e successivamente, della “Repubblica del Turkestan Orientale” (1943-1949), la cui fine sancì poi l’inizio del predominio comunista in loco che, in pratica, ci porta fino ai giorni nostri.
E per gli Uiguri, legati indissolubilmente ad un filo sospeso tra futuro di libertà e avvenire di sottomissione al dragone, questi non sono che anni decisivi, anni in cui la loro anima nazionale si costituisce definitivamente: destino turanico, èthnos turco, interiorità islamica.
Ondeggiano, i Kök Bayraq, emblemi dalla forte connotazione religioso-ideologica, uranica e imperiale.
Scuotono gli animi, i muezzin. Il Fronte Islamico del Turkestan monopolizza il dissenso popolare contro il processo storico di “hanizzazione” e “maoizzazione” della regione e cavalca la protesta, veemente, oramai in fieri da due decenni.
La diaspora uigura, presente in tutti i paesi turchici (Turchia in primis), è un contro-Hard Power (radicalizzato, tra l’altro) che Pechino non può affatto sottovalutare, specialmente ai tempi della nuova Via della Seta e della competizione con Washington nell’Heartland.
E Ankara madre di tutti i Turchi, naturaliter, ha il suo perché in questo nuovo Grande Gioco eurasiatico…